Quei freni alle libertà

Abbiamo avuto invenzioni e grandi «transizioni» tecnologiche perché non le imponevamo dall'alto

29 Luglio 2023

Corriere della Sera

Alberto Mingardi

Direttore Generale

Argomenti / Economia e Mercato Teoria e scienze sociali

Le grandi innovazioni non le fa «il mercato» e nemmeno «lo Stato». Sono il frutto dell’applicazione, dell’intelligenza, del lavoro delle persone. Che possono essere ostacolate dalle istituzioni. Nulla ci garantisce che il mondo di domani sarà come quello di ieri. Ma gli ultimi duecento anni suggeriscono che le persone tendono a innovare di più quando sono libere di farlo: quando, cioè, non debbono chiedere permesso prima di azzardare un esperimento, di provare a realizzare un’idea nuova.

Forse il più sottovalutato dei problemi del nostro tempo è l’effetto dell’erosione della libertà economica nei Paesi occidentali. Che la libertà economica si fosse ridotta con la pandemia e le chiusure messe in atto per contrastarla, era ovvio: non può esserci «libertà economica» quando non si è liberi di uscire di casa per lavorare né per fare la spesa. Una ricerca di Leandro Prados de la Escosura, dell’Università Carlos III di Madrid, sostiene però che la libertà economica era già «ferma», nei Paesi Ocse, dai primi anni 2000.

La libertà economica è difficile da misurare. Non è solo assenza d’interferenza nella sfera privata, una sua componente imprescindibile è il rispetto dei diritti di proprietà e dei contratti, che ha bisogno di una polizia che fa il suo lavoro e di tribunali che funzionano. Lo studio di Prados de la Escosura, imperfetto per ammissione dell’autore, considera quattro dimensioni (diritti di proprietà, stabilità monetaria, apertura internazionale e libertà dalla regolamentazione) su 170 anni. Il quadro che ci consegna è quello di un andamento oscillante, come ci saremmo aspettati: la libertà economica crolla, ovunque, nel 1914 e nel 1939. In guerra le persone non possono intraprendere le attività che vorrebbero, sono costrette ad andare al fronte, i beni da acquistare sono soggetti a razionamento, la libertà di movimento fra Paesi ne è la prima vittima.

Quando la libertà economica cresceva, a fine Ottocento a trainarla era la stabilità dei prezzi, cioè il buon governo della moneta. Dopo la seconda guerra mondiale, lo stesso ha fatto l’apertura internazionale, dal Gatt al trattato di Roma.

Entrambi questi motori della libertà economica oggi sono ingrippati. Se negli ultimi vent’anni del Novecento banche centrali indipendenti trovavano la loro ragion d’essere nella stabilità dei prezzi, negli ultimi quindici anni gli istituti di emissione hanno avuto altre priorità. La globalizzazione, a dispetto dei suoi critici in servizio permanente effettivo, dal fallimento dei negoziati di Doha non ha fatto passi avanti sul piano del diritto. Né gli Stati hanno sopperito con accordi bilaterali.

Oggi in molti sono convinti che «nessuna aggregazione delle nostre preferenze di consumo» (tradotto: il mercato) «sarà mai in grado di fornirci case di cura modernizzate o investimenti necessari a una transizione ecologica». Ma non solo non è neppure chiaro che possa farcela lo Stato e soprattutto è ancor meno chiaro che le sfide che più ci preoccupano, dall’ammodernamento del welfare al contrasto dei cambiamenti climatici, si risolvano mettendo in campo sempre più risorse. Il vantaggio di usare «lo Stato» è proprio quello che, volenti o nolenti, siamo tutti acquirenti dei suoi servizi e suoi finanziatori attraverso imposte e debito, mentre alle imprese private può capitare di non riuscire a convincere i consumatori a comprare i loro beni e gli investitori a finanziarle.

L’idea che sta dietro il superamento della libertà economica in Occidente è che le soluzioni ai problemi siano note e non vengono attuate solo perché mancano risorse sufficienti a finanziarle e le persone sono miopi e incapaci di adattare i propri comportamenti. Quindi, bisogna trovare più quattrini e costringere le persone a cambiare stile di vita.

È proprio così? Non è detto che la storia sia davvero maestra, ma fino a oggi noi abbiamo avuto scoperte, invenzioni e grandi «transizioni» tecnologiche perché non imponevamo dall’alto un’unica soluzione ai problemi, ma lasciavamo ne emergessero diverse, e che poi vincesse il migliore. Limitare, circoscrivere la libertà economica, rinunciarvi persino, si può: se siamo convinti di avere tutte le risposte. Le classi dirigenti occidentali sono davvero pronte a scommettere il futuro dei loro Paesi sulla propria presunzione?

dal Corriere della Sera, 29 luglio 2023

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