Quella lezione di Minghetti ai politici di oggi

Il rischio fatale che qualsiasi partito corre è pensare di amministrare e nominare solo in funzione del proprio interesse partitico

23 Luglio 2018

Il Giornale

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Una delle questioni più affascinanti, dal punto di vista scientifico, è studiare e osservare la progressiva istituzionalizzazione dell’attuale governo giallo-verde.

Come il suo Dna rivoluzionario e populista, come si dice ora, si trasformerà In qualcosa di diverso, al contatto con la pubblica amministrazione. Le nomine delle ultime ore, quelle che verranno fatte nei prossimi mesi, l’indulgenza verso comportamenti dubbi di loro rappresentanti nella pubblica amministrazione, la sottovalutazione garantista di alcune questioncelle penali, sono solo un segnale di come una forza politica, inevitabilmente si fa amministratrice.

D’altronde ogni cambio di regime ha bisogno dei suoi tempi, dei suoi errori per crearsi una nuova classe dirigente. Nessuno scandalo, ovviamente. Ma, c’è un grande punto interrogativo. Quanto gli elettori continueranno a sopportare ciò che fino a ieri detestavano se commesso da altri che non fossero i propri attuali beniaminini. Ci dà una piccola lezioncina un grande liberale, moderato come Marco Minghetti. Presidente e ministro praticamente di tutto, nasce in uno stato preunitario tra i più conservatori, quello pontificio. E ammonisce, in un testo (Marco Minghetti e il liberismo temperato) pubblicato da Ibl: «Ogni partito tende naturalmente ad esercitare un’ingerenza indebita nella giustizia e nell’amministrazione, e ciò al fine di conservare e di estendere la sua propria potenza. Gli effetti che da questa indebita ingerenza derivano sono gravissimi, e producono perturbazione e iattura ai diritti e agli interessi dei cittadini che le istituzioni libere sarebbero invece destinate a tutelare. Avvegnaché ogni costituzione ed ogni buon governo debba avere per iscopo di rendere la giustizia uguale a tutti, e di amministrare nel solo intento del pubblico bene: e questo è quel che più sta a cuore del popolo, il quale sente che da ciò dipende l’ordine, la sicurezza e la prosperità. Ma quando per gli influssi del partito che governa avviene il contrario, se il male giunge ad un certo grado, si può dire che la forma spegne la sostanza, e per usare una locuzione moderna vien meno il contenuto delle istituzioni».

Non è facile capire quando la forma spenga la sostanza, quel che Minghetti nota è il rischio fatale che qualsiasi partito corre se pensa di amministrare e nominare solo in funzione del proprio interesse partitico. Vedremo.

da Il Giornale, 22 luglio 2018

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