Quella vena draghiana nei piani della premier

Sembra che ora, dopo tanto tempo, anche Giorgia Meloni inizi ad apprezzare l'Unione Europea e i suoi attori

17 Ottobre 2024

La Stampa

Serena Sileoni

Argomenti / Politiche pubbliche

L’Europa che piace a von der Leyen e Draghi sembra ormai piacere anche a Meloni. La leader dell’unico partito che non ha votato la fiducia a Draghi, né il Pnrr italiano né il suo cappello europeo, il Recovery Fund; la leader del partito che si è astenuto (con un minimo senso del pudore, avendo come maggioranza di governo partecipato ai negoziati in Consiglio) sulle modifiche al Patto di Stabilità in accesa polemica con l’allora commissario Gentiloni, che ha votato contro la risoluzione sullo stato di diritto in Polonia e Ungheria, che non ha votato la fiducia alla Commissione di von der Leyen nel 2019, nella cui compagine c’era appunto anche Paolo Gentiloni, e ha votato contro anche la riconferma del mandato a Ursula… ecco, la leader di quel partito parla e ragiona come una autentica leader europeista. E lo fa sia in politica interna, davanti al Parlamento e dentro al governo, sia in politica europea, dove è vista, per forza di cose, come la garante della credibilità del governo.

In Parlamento, due giorni fa Meloni, dopo aver richiamato i rapporti Draghi e Letta, ha invitato con enfasi a non lasciarsi «sfuggire l’occasione storica che questa nuova legislatura europea ci offre: scegliere finalmente, e con coraggio, che cosa vogliamo essere e dove vogliamo andare». Ha parlato di «un’Europa che si occupi delle grandi materie di interesse comune» e che si doti «quanto prima delle risorse e degli strumenti comuni adeguati all’altezza delle ambizioni che ci poniamo» (cioè, del debito comune). Anche il Piano strutturale di bilancio e quel che si sa della legge di bilancio restituiscono una sintonia di fondo con l’idea di Unione europea che hanno quanti, agli occhi della Meloni, hanno rappresentato fino a ieri l’avversario politico. Il Piano strutturale eredita espressamente l’impostazione del Pnrr, in particolare la parte di riforme voluta dal governo Draghi. Della legge di bilancio si sa ancora poco con precisione e certezza, ma si sa che è volutamente improntata a una prudenza necessaria ad avviare il percorso di rientro richiesto dalla Commissione.

Fare opposizione non è la stessa cosa che stare al governo. I toni, le pretese, le accuse che si rivolgono da quei banchi sono parte dello stesso schema per cui, dalla scrivania di governo, si diventa un po’ più pragmatici, pacati, istituzionali. Inoltre, nel sistema di governance economica europea, non è facile avere margini di manovra, specie per i governi che, come il nostro, devono diminuire tanto il deficit quanto il debito. Tuttavia, qualche libertà i governi nazionali se la possono ancora prendere. Non solo su come allocare la spesa pubblica, ma anche su come raccontarlo. Ed è proprio in questa seconda scelta che la presidente Meloni sembra allontanarsi da dove si era finora collocata.

È vero che lei e i suoi non hanno mai sostenuto l’idea dell’uscita dall’Europa. Semmai, hanno sostenuto l’uscita dall’euro, che era un punto programmatico delle elezioni europee del 2014. Ma già nel 2020 lei stessa dichiarò che quel punto non era più nell’agenda del partito. Meloni ha però sempre avuto un atteggiamento apertamente critico nei confronti di un’Europa dei poteri che da Bruxelles invadono la sovranità degli Stati. Ora, dal racconto di un’altra Europa siamo al racconto di un’altra Meloni, nel quale l’Unione che immagina non sembra poi diversa da quella che osteggiava.

È chiaro che anche i partiti che nascono più incendiari diventano pompieri quando governano. Ma ci sono diversi modi di diventarlo. Il Movimento Cinque Stelle, ad esempio, ha colto l’occasione di governare per fare ciò che da partito anti-sistema si era prefissato: creare una moneta alternativa all’euro, grazie alla circolazione parallela dei crediti dei bonus edilizi; ridurre la casta dei parlamentari; aumentare la spesa pubblica come se il debito non fosse un problema. Oppure, si può diventare pompieri mostrandone insofferenza, ad esempio facendo pesare l’esistenza dei vincoli esterni con la retorica del «ce lo chiede l’Europa». Oppure, si può semplicemente cambiare, pur nella fatica di ammetterlo. Il Piano strutturale di bilancio, il disegno di bilancio e soprattutto il modo in cui sono stati presentati interpretano una sintonia di intenti con la vecchia Europa che si voleva sfidare. Tanto la presidente quanto il ministro Giorgetti hanno fatto proprie le intenzioni di bilancio a breve e lungo termine, evitando di presentarle come imposte da Bruxelles.

La coerenza non è sempre una virtù. Cambiare idea, per necessità o per intima convinzione, succede a tutti ed è bene che succeda, se le condizioni che l’hanno fatta maturare non ci sono più o anche solo si pensa non ci siano più. Ben venga l’incoerenza, se per Meloni vuol dire essere – più che concilianti – convinti che possa esistere un’Europa che ci aiuti a tenere i conti in ordine, che ci garantisca un sistema monetario più forte, che ci ricordi, grazie ai vincoli alla spesa, che nessun pasto è gratis, che ci inserisca in un contesto più competitivo, anche a costo di perdere pezzi di una sovranità peraltro male usata. Ben venga, quindi, ammesso che si immagini un’Europa come spazio di libera iniziativa, e non di libera spesa.

oggi, 18 Ottobre 2024, il debito pubblico italiano ammonta a il debito pubblico oggi
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