Quelli che non sanno cosa è il confronto

I compiti del governo e i suoi eccessi

22 Novembre 2017

Il Mattino

Serena Sileoni

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Il confronto è il principio metodo 1ogico della democrazia. E l’arte di governare si riduce al mettere un punto fermo alla negoziazione, al dialogo e al compromesso. Se il percorso s’inceppa, i governi smettono di fare quel che pretendono sia il loro mestiere: ridurre a sintesi gli interessi sociali e prendere decisioni nell’interesse generale.

È quello che sempre più di frequente, tuttavia, accade nel nostro Paese. Ieri, colta l’esca del dialogo, il sindacato più combattivo, la Cgil, ha mostrato che l’unica negoziazione a cui è disposta a cedere è che gli sia data ragione su tutta la linea nella demolizione, pezzo dopo pezzo, della riforma Fornero, una riforma nata proprio per mettere insieme gli interessi, spesso drammaticamente opposti, di generazioni distanti tra loro.

Ma la «negoziazione» di ieri sulle pensioni è solo l’ultimo esempio. Sempre il «confronto» coi sindacati sull’abuso dei voucher ha portato quest’anno non semplicemente a rivedere, ma ad abolire del tutto l’impiego di questa forma contrattuale, a meno di cinque anni dalla loro estensione a tutti i settori. Non mancano esempi di specifiche categorie.

Sempre ieri, lo sciopero dei taxi è stato «preventivo» verso una revisione (si badi, revisione, non liberalizzazione) della legislazione in materia di trasporto pubblico non di linea. Uno sciopero al condizionale, per avvisare il governo che casomai davvero ci volesse mettere le mani e casomai nel metterci le mani avesse intenzione di toccare gli interessi di categoria, non ci sarà confronto coi tassisti che non diventi uno scontro all’ultima ragione.
Anche sul fronte delle concessioni (sia un’area mercatale o uno stabilimento balneare), che l’Italia deve imparare a gestire per quello che sono, temporanei utilizzi di un bene pubblico e non perpetui usi di un bene pubblico come fosse una proprietà privata, l’atteggiamento dei concessionari è di chi pretende che la discussione finisca solo quando si conquista il totale accoglimento degli interessi di parte.

Dare completamente ragione a una fazione sociale può essere facile e comodo. Specie se è quella che ha la voce più grossa. Ma ha due controindicazioni molto serie, in un sistema che vuole essere seriamente democratico. In primo luogo, genera un azzardo morale deleterio a livello sociale. Quando, nell’aprile scorso, i lavoratori di Alitalia hanno bocciato con più del 65% l’accordo tra l’azienda e i sindacati sul tavolo di governo che avrebbe dato il via a un piano quinquennale necessario per poter cedere sul mercato la compagnia, hanno fatto affidamento sull’esperienza: alzare la voce ripaga chi urla, e il conto viene presentato alla collettività intera. E infatti da quel no al referendum non è scaturita la fine dell’azienda, ma la spartizione dei suoi guai su tutti gli italiani, con un nuovo prestito ponte. In una dimensione più estesa, nazionale, è quello che accade con il tema delle pensioni.

In secondo luogo, debilita la credibilità, già molto compromessa, di un governo. Se un governo dobbiamo tenercelo, sarebbe preferibile che sia il primo a ricordarsi il perché. Non sono forse in molti a credere ancora che la politica sia l’arte della sintesi. La codardia e la miopia dei governi rischia di far ricredere anche quei pochi.

Da Il Mattino, 22 novembre 2017

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