«Ci sono molte persone che s’attribuiscono la qualifica di liberali», scriveva Bruno Leoni in un saggio del 1956, La polemica liberista contemporanea negli Stati Uniti d’America, che trovate in B. Leoni, Opere complete, V. Liberalismo e storia del pensiero politico, IBL 2014, solo ebook, 7,99 euro, «benché non siano pienamente partigiani del liberalismo, fino ad essere indulgenti verso certe manifestazioni di collettivismo economico. In questo senso, paradossalmente la parola liberal viene spesso usata, e persino abusata, negli Stati Uniti d’America, dove i liberisti non vanno proprio d’accordo con i cosiddetti liberali, i quali oggi appaiono non di rado inclini a simpatizzare — senza troppi giri di parole, in modo più o meno aperto — con alcuni metodi di governo totalitari, e con sistemi economici non liberisti».
Giurista, allievo di Luigi Einaudi e di Gioele Solari, professore di scienze politiche a Pavia, liberale e liberista, più letto negli Stati Uniti che da noi, filosofo e polemista, Bruno Leoni mostrava, con questo e altri saggi, quale fosse stata la deriva non soltanto di «molte persone che s’attribuiscono la qualifica di liberali» ma anche di molte scuole che insistono a proclamarsi liberali anche dopo essersi convertite all’idealismo sociale, trasformandosi così, da avversarie dell’intervento pubblico in ogni sua forma, in partigiane dello stato in tutte le sue manifestazioni. Come in America, dove. col tempo, liberal è diventato un sinonimo di socialista; o come in Inghilterra, dove Keynes non smise mai di dichiararsi liberale, anche (e forse soprattutto) in Italia il liberalismo è sceso a patti col suo contrario: il mito illiberale della rivoluzione.
Leggi il resto su Italia Oggi, 13 gennaio 2014