23 Giugno 2016
Il Foglio
Carlo Lottieri
Direttore del dipartimento di Teoria politica
Argomenti / Teoria e scienze sociali
L’uscita del Regno Unito dal club comunitario riporterebbe l’Ue sulla terra. La prima defezione, dopo un processo pluridecennale di adesioni, farebbe comprendere come questa istituzione umana non è esente da difetti e merita rispetto se e quando si pone al servizio dei diritti delle persone.
Troppi parlano dell’Unione con toni mistici che impediscono ogni riflessione, ma quella mitizzazione verrebbe meno nel momento in cui Londra decidesse di fare da sola. Dopo aver prosaicizzato lo stato moderno con il voto scozzese (che ha ricondotto il Regno Unito a un libero patto tra comunità), gli inglesi si apprestano a fare lo stesso con l’Unione europea. Per giunta, l’Europa è stata costruita secondo logiche interventiste e tecnocratiche. Se dobbiamo essere grati all’Unione per aver distrutto le barriere tra i diversi paesi, al tempo stesso non possiamo dimenticare che molti dei problemi della nostra agricoltura, ad esempio, sono la conseguenza di un assistenzialismo disastroso. Inoltre, le direttive si configurano come strumenti di regolazione che riducono le libertà e ignorano le specificità.
Il progetto di un’Europa armonizzata è più un incubo che un sogno: per tutta una serie di ragioni. La società europea ha certamente bisogno di mercati aperti, ma al tempo stesso ha egualmente bisogno di governi locali, responsabili, controllati direttamente dalla popolazione, che tassino e spendano sul luogo (rendendo conto di quanto fanno). Le classi politiche nazionali temono tutto ciò e anzi sognano di superare il cosiddetto “deficit democratico”: immaginando di avere a Bruxelles un vero Parlamento e un vero governo incaricati di prendersi cura di tutto il continente. Ma quella prospettiva comporterebbe esiti illiberali.
Da Il Foglio, 23 giugno 2016