Le ragioni della libertà d'educazione

II pluralismo culturale favorisce studenti e genitori

19 Luglio 2022

Corriere del Ticino

Carlo Lottieri

Direttore del dipartimento di Teoria politica

Argomenti / Politiche pubbliche

Nel 2008 una coppia tedesca, Uwe e Annelore Romeike, lasciò l’Europa e si trasferì in America. In patria i coniugi Romeike non avevano avuto la possibilità di educare a casa i propri figli e al tempo stesso, in quanto cristiani evangelici, non volevano che i loro bambini frequentassero le scuole ufficiali. Richiamandosi al diritto alla libertà d’educazione, negli Stati Uniti ottennero asilo politico; ed è interessante rilevare che non venivano dall’Iran o da Cuba, ma dal civilissimo Baden-Württemberg.

Questo episodio ci dice come il tema della libertà scolastica divida l’Occidente in modo assai netto. Mentre negli Stati Uniti, specialmente dopo la sentenza del 1972 sugli Amish, al centro del sistema educativo è posta la famiglia, spesso in Europa le cose sono viste diversamente e lo Stato occupa una posizione eminente. Pure la Svizzera conosce al suo interno realtà contrapposte. Per restare in tema di homeschooling (l’educazione parentale, assicurata dalla famiglia o da un gruppo di famiglie) essa è legale in 16 cantoni ed è presente soprattutto a Vaud, Berna, Argovia e Zurigo, mentre è impossibile negli altri cantoni e anche in Ticino.

Analoghe divergenze si hanno nel rapporto tra scuole statali e private, dove la grande questione (ovviamente) è la presenza o meno di finanziamenti agli studenti che optano per un istituto privato. Nella Confederazione come in tutta Europa le discussioni in materia sono molto vive. I difensori della scuola pubblica affermano che spetterebbe allo Stato educare in maniera uniforme i cittadini di domani, mentre i fautori della libertà di educazione auspicano una società più pluralista e con istituzioni formative costrette a competere tra loro, per operare al meglio.

In generale, anche quanti propongono più spazi di libertà nella scuola ritengono che chiunque possa essere educato senza oneri per la famiglia. Quello che si rivendica è la possibilità di scegliere entro uno spettro di istituzioni che possano definire un autonomo progetto educativo e decidere i propri programmi.

In un volume di qualche anno («Liberiamo la scuola») Andrea Ichino e Guido Tabellini avevano preso a modello le charter schools americane, proponendo di concedere alle scuole pubbliche italiane un’ampia autonomia nello stabilire organizzazione e offerta formativa. In tal modo i presidi diverrebbero più «imprenditori» e sarebbero chiamati a rispondere alle esigenze della società: scegliendo i docenti migliori e definendo gli schemi culturali della loro scuola.

Negli Stati Uniti le charter schools sono scuole create da associazioni, for profit e non profit, su richiesta di una comunità locale. Esse sono finanziate con denaro pubblico sulla base del numero degli iscritti, potendo però accogliere anche donazioni private; il loro vantaggio è che hanno una autonomia molto maggiore rispetto alle altre scuole. Si tratta per giunta di un fenomeno in grande crescita, dato che ormai sono più di 3 milioni gli studenti americani che si formano in questi istituti.

Questa esperienza americana (ma realtà simili ci sono in Finlandia, Regno Unito, Svezia e altri Paesi) mostra come sia possibile far crescere mille fiori anche all’interno di un quadro pubblico: permettendo a gruppi di docenti e/o di famiglie di costituire una propria realtà, destinata a essere finanziata allo stesso modo degli istituti statali. Oltre a favorire innovazione in ambito didattico e maggiore competizione sul piano della qualità, questa apertura può permettere una più ampia libertà di scelta di studenti e genitori.

In fondo, nessun politico o burocrate può essere tanto presuntuoso da pretendere di sapere «cosa» deve essere insegnato e «come». In questo come in altri ambiti, c’è bisogno di una varietà di esperienze e c’è la necessità che esse siano vagliate dal pubblico. La libertà educativa è quindi essenziale, anche se potrà affermarsi soltanto quando si comprenderà l’importanza del pluralismo culturale e quando una serie di tabù saranno messi in discussione.

Dal Corriere del Ticino, 19 luglio 2022

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