Il Rapporto Draghi insiste sui soldi, ma qui il problema è la poca volontà

Da una parte gli obiettivi di decarbonizzazione, che riflettono convinzioni condivise, dall'altra ci sono i mezzi per raggiungerli

26 Settembre 2024

Il Secolo XIX

Carlo Stagnaro

Direttore Ricerche e Studi

Argomenti / Politiche pubbliche

Carlo Stagnaro divide il Green Deal in due. «Da una parte, gli obiettivi di decarbonizzazione, che riflettono convinzioni condivise nell’Unione europea, senza eccezioni, a parte qualcuno. Su questi, niente da discutere. Dall’altra, ci sono i mezzi per raggiungerli. Qui, invece, vedo due difetti. Il primo, è che, spesso, sono strumenti microsettoriali che tendono a ingabbiare l’industria: rinnovabili, idrogeno, efficienza energetica, automobile. Il secondo, è che sono disciplinati da troppe norme, che cambiano di continuo». Economista e ingegnere ambientale, Stagnaro dirige le ricerche dell’Istituto Bruno Leoni, che ha contribuito a fondare. Negli anni del governo Renzi, ha guidato la segreteria tecnica del ministro dello Sviluppo economico, Federica Guidi.

Sull’automobile, l’Europa sbaglia?

«Clamorosamente. Sa già che l’obiettivo del 2035 non lo raggiungerà, ma dice alle imprese di smettere di investire per migliorare i motori endotermici, che hanno una data di scadenza, come gli yogurt».

L’auto elettrica non la vuole solo l’Unione europea.

«Tutti, nel mondo. Ma nessuno ha messo questo divieto, che sta rallentando le vendite e minando l’industria. Può darsi che, nel 2035, compreremo tutti auto elettriche. Ma non per un obbligo di legge. Se le compreremo tutti, sarà perché sono la soluzione tecnologicamente più avanzata. E se così non fosse? Se tecnologicamente non fossimo in grado di arrivarci entro il 2035? Oggi l’auto elettrica è la soluzione migliore, ma, con questa scadenza, ci stiamo precludendo altre possibili strade. Come lo sviluppo di combustibili alternativi».

Vede lo stesso approccio dogmatico anche nelle rinnovabili?

«Si, se l’obiettivo è decarbonizzare, perché non usiamo tutte le tecnologie a disposizione? Perché puntiamo tutto su eolico e fotovoltaico e scoraggiamo il nucleare?».

Il Rapporto Draghi suggerisce, anche per le rinnovabili, di fare e investire di più.

«Dice tante cose. Alcune di buon senso, altre discutibili. Gli 800 miliardi l’anno per rilanciare l’economia richiederebbero un cambiamento radicale dell’Unione europea. Poi, in quel lavoro, c’è una contraddizione di fondo: i soldi servono, si, ma non bastano. Sulle rinnovabili, l’Italia è in ritardo per mancanza, più che di soldi, di volontà. Troppo spesso, gli impianti eolici e fotovoltaici non vengono autorizzati. La presidente della Regione Sardegna, Alessandra Todde, appena eletta ha dichiarato inidoneo il 99% del territorio sardo».

Lo ha fatto per tutelare il paesaggio?

«Certo. La politica deve risolvere interessi contrapposti, tra clima e paesaggio. E l’Unione europea deve chiarirsi le idee. Se la sua priorità è il clima, deve decarbonizzare il più in fretta e al minor costo possibile. Se l’obiettivo è, anche, fare crescere l’industria europea del fotovoltaico e delle batterie, va benissimo, ma ci vorrà più tempo. E allora vorrebbe dire che forse, il clima, non è un obiettivo così urgente. Insomma, ci dicano qual è la priorità».

Prima citava la Sardegna, ma la Liguria, sulle rinnovabili, ha poco da insegnarle.

«È molto indietro. Ci sono, certo, ragioni morfologiche. Ma vorrei tanto che, visto il voto imminente, diventasse un tema elettorale. Mi sento distante da Alessandra Todde, ma le riconosco il merito di essere stata chiara da subito. Che avrebbe ostacolato le rinnovabili, lo aveva detto in campagna elettorale. I nostri candidati liguri ci dicano cosa vogliono mettere nel decreto regionale sulle aree idonee per le rinnovabili. Senza sparare numeri a caso. Non dico di scrivere il decreto, ma diano agli elettori gli elementi per capire come, se eletti, risolveranno il conflitto tra clima e paesaggio».

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