Se il Novecento è stato il secolo che ha divinizzato lo Stato, è stato anche quello che ha scommesso sul potere di una ragione umana “sregolata”.
Alle conoscenze disperse e sedimentate nel tempo, alle verità incapsulate nell’esperienza storica, ha preferito i grandi progetti di riforma e, in alcuni casi, il tentativo di forgiare, dal legno storto dell’umanità, un Uomo nuovo. Proprio per questo, dopo la Seconda guerra mondiale, autori come Friedrich von Hayek e Michael Oakeshott ci hanno messo in guardia dalle degenerazioni nell’uso della ragione.
Con il termine Razionalismo, Oakeshott si riferiva alla moderna tendenza a elevare la teoria formale e astratta al di sopra della conoscenza pratica, le cui conseguenze hanno inoltre portato all’espansione dei pubblici poteri, che oggi non si limitano più a fissare una cornice di regole entro cui le persone possono provare a perseguire i propri obiettivi, ma si sostituiscono a esse. Come scrive Giovanni Giorgini nella sua introduzione, «al Razionalismo, alla sua fede nella verità e nella perfezione, Oakeshott oppone una visione scettica della conoscenza che fa da fondamento a una concezione liberale dello Stato nella quale ha un ruolo centrale la nozione di tradizione».
Pubblicato per la prima volta nel 1962, Razionalismo in politica e altri saggi diede notorietà a Michael Oakeshott. Il suo pensiero, come questo libro dimostra, continua a rappresentare uno dei vaccini più efficaci contro l’“abuso della ragione” e le presunzioni del potere.