Reddito di cittadinanza: una lezione dalla Svizzera

Aiutare un pezzo della società non può diventare un assegno in bianco

6 Giugno 2016

IBL

Argomenti / Politiche pubbliche

Ieri i cittadini elvetici hanno a grandissima maggioranza respinto, per via referendaria, l’ipotesi di un reddito di cittadinanza.

L’ammontare dell’assegno non era chiaramente indicato, ma i promotori avevano suggerito una cifra nell’ordine dei 2.500 franchi al mese per ogni cittadino adulto, all’incirca 2.260 euro al mese.

Qualche giorno prima il Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, parlando al Festival dell’Economia aveva definito “insostenibile” una misura di questo tipo, per i Paesi dell’Europa continentale. Ma c’è qualcosa di più, nella decisione svizzera, che il saper far di conto dei cittadini di quel Paese.

C’è la consapevolezza, chiarissima, che la necessità di aiutare un pezzo della società, quello che non riesce a tenere il passo di una moderna economia di mercato, non può diventare un assegno in bianco. Le buone intenzioni non bastano a fare buone politiche. Dice molto, sulla qualità della democrazia svizzera, che in quel Paese ci sia una consapevolezza diffusa di questo fatto: mentre al contrario, dappertutto in Europa, è sempre più difficile mantenere un dibattito pubblico aperto, franco, razionale.

La questione, dunque, va oltre il reddito di cittadinanza e riguarda una prospettiva più generale, sul ruolo dello Stato sociale.

Noi stessi abbiamo più volte scritto che l’imposta negativa sul reddito, o reddito minimo che dir si voglia, potrebbe essere un valido strumento di sostegno ai più svantaggiati, ma solo a condizione che vada a sostituire quella congerie di aiuti di vario tipo che va sotto il nome di “Stato sociale”.

Tuttavia, nessuno avanza l’ipotesi di un reddito di cittadinanza che sostituisca lo Stato sociale. Chi lo propone immagina un intervento che si somma a quelli già esistenti.

Gli effetti sarebbero due volte perversi. In gioco non c’è solo l’ insostenibilità finanziaria, destinata ad aggravare ancor più la condizione dei bilanci degli Stati continentali. In gioco c’è un’ulteriore minaccia alla capacità di crescita dei nostri Paesi. Ridotti vistosamente gli incentivi a produrre di più, sarebbe ancora più difficile riagganciarsi al treno della crescita. E questo sarebbe un problema non soltanto contabile, ma anche sociale: l’ansia di redistribuire la ricchezza rende più complicato produrla. Non è possibile rinunciare alla crescita e sperare in standard di vita migliori anche per chi sta peggio. Questo ci sembra gli svizzeri lo abbiano chiaro, speriamo non solo loro.

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