9 Dicembre 2024
L'Economia – Corriere della Sera
Alberto Mingardi
Direttore Generale
Argomenti / Economia e Mercato
Il “videoregistratore” (oggi un’anticaglia, ma rappresentò il primo passo verso il mondo di Netflix) se lo inventarono due imprese giapponesi: Sony e WC. WC propose il sistema VHS. Sony invece aveva scelto un modello diverso, il Betamax, considerato superiore dai “tecnici” per qualità della registrazione. La storia è nota: il Betamax non passò il test del mercato per quanto godesse dell’ammirazione degli esperti. Le sue qualità non bastavano a compensare il vantaggio del VHS, col quale si riusciva ad arrivare fino a quattro ore di registrazione sullo stesso nastro. Sia coloro che si dilettavano di riprese casalinghe che quanti volevano comprare o noleggiare un film senza alzarsi continuamente per cambiare cassetta lo trovarono più comodo.
Più o meno negli stessi anni il PC bussa alla porta delle nostre cose. Nella gara dei sistemi operativi, si impone il DOS, facendo la fortuna di un’impresa di Seattle, Microsoft. Non era l’opzione né più performante né più innovativa (Steve Jobs stava lavorando su un’interfaccia grafica a finestrelle ben prima che Bill Gates si appropriasse dell’idea). Ma Microsoft ebbe l’intuizione di disaccoppiare software e hardware, consentendo ai produttori indipendenti di affacciarsi sul mercato e ai prezzi di ridursi rapidamente. Agli esperti il software di Microsoft piace va poco, ma piacque molto ai consumatori. Un’ottantina di anni prima alcune aziende americane già commercializzavano veicoli elettrici. Era ritenuta l’opzione tecnologicamente superiore. Ma proprio gli Stati Uniti sono la terra dei grandi spazi e il pubblico dava più valore alla possibilità di effettuare viaggi più lunghi senza dover ricaricare la batteria che ad altri indicatori di performance.
Con le auto elettriche dei tempi nostri, l’Unione europea non ha voluto correre questo rischio. Ha scelto, cioè, di assicurarsi che i consumatori non potessero ribaltare l’opinione degli esperti. Che le loro esigenze non potessero avere la meglio, che è quello che capita di solito in queste situazioni che chiamiamo “mercato”. Così, ha fissato una data, il 2035, oltre la quale sarà impossibile immatricolare nuove vetture a motore endotermico. Riccardo Ruggeri, ex AD di New Holland, ha detto che nulla del genere era mai avvenuto nella storia «dell’umanità industriale». Ha ragione: qui non stiamo parlando di standard nel senso di regole per produrre qualcosa. E nemmeno ci stiamo riferendo ad “aggiustamenti” tecnologici, come il passaggio dalle trasmissioni analogiche a quelle digitali terrestri per la televisione, volto a liberare frequenze per la telefonia mobile. Stiamo parlando della decisione di quale genere di prodotto le persone possono consumare.
La politica non si limita ad accompagnare un cambiamento, ma entra in campo per orientare i comportamenti. L’esito è sotto gli occhi di tutti: l’industria automobilistica europea, ieri fiore all’occhiello del continente, è entrata in crisi. È difficile immaginare che questa crisi sia reversibile, almeno nel breve. L’imposizione di un nuovo standard, attraverso l’obsolescenza programmata del precedente, mirava a riorientare gli investimenti. L’obiettivo era rendere desuete, con le buone o le cattive, le tecnologie produttive esistenti, “forzando” l’accumulazione di capitale in nuovi impianti. Dieci anni di politiche monetarie lasche dovevano servire a mettere benzina in quel serbatoio (perdonate la metafora anacronistica). Se siamo convinti di avere per le mani la tecnologia vincente, l’unica cosa che serve sono i quattrini.
Per superare la riottosità dei consumatori si è pensato di sussidiare l’adeguamento del parco macchine. L’esperimento ha funzionato e le persone hanno cominciato a domandare veicoli elettrici. Solo che ci si è accorti che i beneficiari erano diversi da quelli che si immaginava fossero. In particolare, perso il vantaggio storico sul motore a scoppio, i produttori europei arrancavano dietro quelli statunitensi e cinesi.
L’economia di mercato serve proprio a fare spazio all’imprevisto: noi non sappiamo quali prodotti soddisferanno meglio i bisogni dei consumatori e con quali fattori produttivi verranno realizzati. Ex post sembra sempre tutto scritto ma non lo è affatto. Chi investe sulla qualità dell’immagine e non sulla lunghezza delle videocassette è convinto che i consumatori lo premieranno, anche se poi non avviene. L’Europa ha pensato di proteggere le scelte dei suoi esperti dalla possibile delusione del mercato. È stata una decisione presa con sorprendente leggerezza, che oggi mette a repentaglio il futuro di milioni di lavoratori. Tornare indietro è difficile, perché si sono mosse imponenti masse finanziarie e si è fermata la ricerca per continuare a ridurre l’impatto ambientale di motori e carburanti. In ogni caso sono state distrutte competenze e risorse.
Sulle rovine dell’automotive, la politica pensa a una cosa soltanto: distribuire sussidi o tentare strani mix di incentivi e dazi per tamponare l’emorragia di posti di lavoro. La storia dell’auto ci aveva abituato a innovazioni che coincidevano con prezzi decrescenti. Ora il prezzo medio è di 28 mila euro. Immaginiamo sussidi più generosi, ovviamente finanziandoli a debito, che c’è di mezzo il futuro del pianeta. I consumatori non sono fatti di pongo e non è detto che le cose vadano secondo i piani, quando la politica prova a orientarne i comportamenti. Non è un concetto complicato ma c’è una generazione di politici e di tecnici che si diverte a dimenticarlo.