Per l’ennesima volta, il progetto di creare, sotto il controllo statale, un’unica rete a banda larga si è arenato. È da anni che l’infrastrutturazione digitale del paese è ostaggio di un’ambizione che non riesce a tradursi in realtà. Ogni volta si punta il dito contro le cause contingenti – da ultimo, il cambio di governo e il mutato orientamento del nuovo esecutivo – ma sarebbe meglio guardare al problema nella sua interezza. E prendere atto che si tratta non solo di una strada estremamente ardua (altrimenti si sarebbe già raggiunto il risultato). È, anche e soprattutto, una strada sbagliata.
In Italia, in tutti gli altri Stati membri dell’Unione europea e in quasi tutto il mondo le reti di telecomunicazione sono frammentate tra diversi proprietari e in concorrenza tra di loro. Normalmente sono controllate da imprese verticalmente integrate, mentre la regolazione disciplina le modalità di accesso per garantire una concorrenza equa. Quindi la concorrenza si svolge su tre piani: quello della realizzazione e sviluppo di nuove reti; quello tra modelli di business (integrazione verticale e no); e quello dei servizi. L’idea della rete unica prevede di cancellare le prime due modalità, unificando le infrastrutture all’interno di un unico contenitore (per evitare le duplicazioni cioè, appunto, la concorrenza) e imponendo un’unica forma organizzativa (la separazione tra rete e servizi). I pochissimi precedenti – tra cui il principale è quello australiano, di cui ci siamo già occupati – non hanno prodotto i risultati sperati, creando anzi enormi problemi.
A questo punto la politica dovrebbe fermarsi e porsi una domanda: perché? Se l’obiettivo è garantire la copertura della banda ultralarga anche nelle aree remote, non c’è alcun bisogno di rivoluzionare la governance del settore né di sterzare in una direzione che nessun paese europeo ha seguito o intende seguire (et pour cause). È sufficiente finanziare, attraverso procedure competitive, il potenziamento delle infrastrutture, come peraltro in parte già fatto. Da anni il miraggio della rete unica distoglie tempo e risorse da quello che dovrebbe essere il vero obiettivo: l’upgrade digitale della nostra economia. Giorgia Meloni dovrebbe prendere atto che la via percorsa senza successo dai governi Conte e Draghi porta nella direzione sbagliata e confonde il fine con i mezzi. Dare stabilità e tranquillità al mercato e rinunciare a improbabili rivoluzioni è il primo passo necessario per restituire centralità allo sviluppo del paese.
7 dicembre 2022