Le libertà economiche vanno protette per via democratica o si può fare ricorso all'attivismo giudiziale?
A cinque anni dalla sua scomparsa, avvenuta il 13 febbraio 2016, l’Istituto Bruno Leoni ricorda Justice Antonin Scalia, giudice della Corte suprema federale degli Stati Uniti d’America, con la pubblicazione in lingua italiana di un discorso tenuto a proposito del rapporto tra giudici e libertà economica.
Nominato alla Corte suprema da Ronald Reagan nel 1986, Scalia è diventato negli anni il punto di riferimento del movimento cosiddetto “testualista” o anche “originalista”, per il quale le leggi e la Costituzione vanno interpretate secondo il senso ragionevolmente emergente dal loro testo, avendo riguardo al cosiddetto “original public meaning”, ovverosia al modo in cui un cittadino medio, al tempo dell’adozione della norma, avrebbe inteso il significato delle parole della legge. Il metodo interpretativo propugnato da Scalia ha il pregio di fare chiarezza, ancorché in modo alle volte troppo brutale, tra le responsabilità dei giudici e quelle degli eletti e degli elettori: ai primi spetta il compito di applicare la legge “per come è scritta”, anche quando ciò risulta in contrasto con i movimenti evolutivi che si registrano nella coscienza sociale; ai secondi è riservato il potere – e il connesso dovere – di modificare le leggi (compresa la più alta tra di esse, la Costituzione) in modo da adeguarle al mutato sentire sociale.
Il testualismo viene spesso caricaturizzato come filosofia al servizio di obiettivi politici conservatori, ma come mostrato nel testo in traduzione, questo non corrisponde al vero. Contro la tentazione di costituzionalizzare protezioni per i diritti economici prive di adeguato sostegno popolare, Scalia ammette che «se fossi un legislatore, potrei ben votare per approvarle», ma al contempo osserva che, essendo giudice, il suo compito non è sostituirsi alla volontà popolare: «il ripudio della tradizione di mezzo secolo di judicial restraint in campo economico è una soluzione da rifiutare», poiché «nel lungo periodo, e forse anche nel breve, il rafforzamento dell’erronea e incostituzionale percezione del ruolo dei tribunali nel nostro sistema sarebbe ben più grave di qualsiasi altro male che possa essere venuto da una indebita judicial abstension nel campo economico».
«La carenza di questo sentimento può essere disdicevole, ma cercare di rimediarvi consacrando in Costituzione principi privi di sostegno popolare significa mettere il carro davanti ai buoi», argomenta Scalia: piuttosto, chi ha a cuore la libertà economica deve impegnarsi per ricordare alla società l’importanza di «un’etica costituzionale della libertà economica», giacché «chi controlla il nostro destino economico controlla anche molti altri aspetti della mia vita».