L'interesse nazionale è la globalizzazione. Il caso del Ceta
1 Agosto 2018
Argomenti / Diritto e Regolamentazione , Economia e Mercato , Politiche pubbliche , Teoria e scienze sociali
Giovanni Caccavello
Il governo Lega-M5S ha più di una volta fatto intendere che l’Italia non ratificherà il CETA, l’accordo di libero scambio tra l’Unione Europea e il Canada. Lo ha detto chiaramente a giugno il ministro dell’agricoltura Gian Marco Centinaio, e più recentemente ha avanzato dubbi il vice Presidente del Consiglio Luigi Di Maio.
Sarebbe un grave errore perché contrariamente a quello che molti sembrano credere, il CETA stimolerà la crescita economica, aiuterà centinaia di migliaia di piccole e medie imprese europee a trovare nuove opportunità di sviluppo e crescita in un mercato importante come quello canadese e sosterrà la creazione di nuovi posti di lavoro.
Nel focus, l’autore esamina le principali false argomentazioni che gli esponenti della maggioranza di governo in carica hanno detto negli ultimi tempi a proposito del CETA, in particolare il fatto che tuteli solo una piccola parte dei prodotti dop e igp, che il made in Italy si protegge con la chiusura dei mercati, che l’accordo avvantaggia solo le multinazionali a scapito dell’occupazione e della salute.
Nessuna di queste motivazioni è, a ben vedere, fondata. Anzi, il libero scambio migliora l’efficienza globale nell’allocazione di risorse; permette alle nazioni di specializzarsi nella produzione di tutti quei beni e servizi che queste sanno produrre meglio; consente ai consumatori di beneficiare notevolmente da metodi di produzione più efficienti; permette alle nazioni di crescere maggiormente nel lungo periodo. Il CETA ne è semplicemente l’ennesima, ulteriore, conferma. Chi non vuole ratificarlo è il primo a essere contro gli italiani e il “Made in Italy”.