La spesa pubblica in deficit non aumenta il benessere dei cittadini, ma ne mette a rischio il futuro
25 Gennaio 2018
Argomenti / Economia e Mercato , Politiche pubbliche
Natale D’Amico
Consigliere, Corte dei Conti
In questa campagna elettorale, quasi tutti i partiti politici sembrano sostenere che i vincoli alla spesa non vanno presi troppo sul serio, a partire dal limite massimo al rapporto fra deficit pubblico e prodotto interno lordo fissato nel Trattato europeo di Maastricht al 3%. Questo e gli altri vincoli alla spesa pubblica danno fastidio: i nuovi politici di oggi si dolgono di non aver gli stessi gradi di libertà dei politici di ieri.
È possibile, anche se controverso, che interventi di consolidamento fiscale o, come si usa dire, di austerity, in una fase nella quale il PIL ristagna o addirittura diminuisce, rischino di essere pro-ciclici, cioè di aggravare la crisi. E non v’è dubbio che sarebbe meglio se questi interventi fossero realizzati nelle fasi di espansione economica. Ma come si è visto nel cuore della crisi del debito, nel 2011, l’azione di risanamento non ha alternative, proprio perché siamo stati troppo allegri nelle fasi favorevoli.
Nessuna teoria economica e nessuna esperienza pratica dimostra che un aumento progressivo della spesa, del deficit, del debito, dell’inflazione possa accrescere il benessere economico dei cittadini. Semmai il contrario. Basti solo considerare come in Europa i Paesi che in questo dopoguerra hanno avuto le migliori performance economiche, i minori tassi di disoccupazione, che hanno i livelli dei redditi, anche dei salari, più elevati sono quelli in cui deficit, debito, inflazione sono stati maggiormente tenuti sotto controllo.