A seguito dell’irruzione della Cina sulla scena economica internazionale, ci si interroga se sia legittimo ampliare i nostri rapporti economici con un paese dominato da un regime illiberale, dove i diritti individuali sono spesso ignorati.
15 Giugno 2005
Argomenti / Diritto e Regolamentazione , Economia e Mercato , Politiche pubbliche , Teoria e scienze sociali
Carlo Lottieri
Direttore del dipartimento di Teoria politica
L’irruzione della Cina sulla scena economica internazionale sta suscitando un vivace dibattito.
In particolare, da più parti ci si interroga se sia legittimo – e in che senso – ampliare sempre di più i nostri rapporti economici con un Paese ancora dominato da un regime illiberale, nel quale i diritti individuali sono spesso ignorati e le condizioni dei lavoratori restano terribili.
Questo breve paper si propone di argomentare a difesa di una crescita delle relazioni commerciali tra Europa e Cina, esponendo sinteticamente le principali tesi di quanti avversano l’integrazione tra l’economia europea e quella cinese (impedendo alle nostre imprese di essere attive in Cina e bloccando i prodotti provenienti da quel Paese) ed esaminando alcuni argomenti a sostegno della tesi contraria.
La Cina è un Paese profondamente illiberale, nel quale i diritti dei singoli sono costantemente ignorati. Questo dato è usato per sostenere decisioni politiche che limitino gli scambi, ma non vi è alcun solido argomento a sostegno di tali scelte. Al contrario, una maggiore integrazione economica sarebbe benefica non solo per l’economia, ma potrebbe favorire un’evoluzione liberale. Un processo di integrazione economica è la necessaria premessa allo sviluppo di un nuovo dialogo culturale tra la società europea e quella cinese.