Mentre la Commissione Europea ha confermato la scadenza del 2009 per la completa liberalizzazione dei servizi postali, l’Italia non solo nicchia ma si muove nella direzione opposta, anteponendo il risanamento di Poste italiane alla liberalizzazione.
18 Maggio 2007
Argomenti / Diritto e Regolamentazione , Politiche pubbliche
Rosamaria Bitetti
Fellow, IBL e ricercatrice in Analisi delle Politiche Pubbliche, Università LUISS Guido Carli
Massimiliano Trovato
Il Paese ha recepito le indicazioni comunitarie con molta timidezza, anteponendo il risanamento di Poste italiane alla liberalizzazione. I privilegi garantiti all’ex monopolista hanno contribuito a mantenerne la posizione di assoluta dominanza nel settore, rendendo impossibile la formazione di un più ampio mercato dei servizi postali. Ancora una volta il nostro Paese non ha voluto prepararsi alla liberalizzazione confrontandosi col mercato, investendo invece tutto sulla costruzione di un campioncino nazionale, fra l’altro dopato dall’indebita sovrapposizione fra servizi finanziari e servizi postali.
La Commissione Europea ha confermato la scadenza del 2009 per la completa liberalizzazione dei servizi postali, avviata nel 1997. L’Italia ha recepito i provvedimenti di Bruxelles con timidezza, al punto di legiferare talvolta in controtendenza, ed anteponendo il risanamento di Poste Italiane alla liberalizzazione. I privilegi garantiti all’ex monopolista in tema di posta ibrida, determinazione delle tariffe ed esercizio dei servizi finanziari, così come la controversa quantificazione dell’Onere del Servizio Universale, hanno contribuito a perpetuarne la posizione dominante. La risoluta recisione dei rapporti Stato-azienda e la devoluzione delle competenze regolatorie ad un organo effettivamente indipendente sono misure urgenti e necessarie per l’adempimento degli obblighi comunitari, e la creazione di un mercato genuinamente competitivo.