L’Europa e l’Italia pagano un extracosto per il gas a causa dei vecchi assetti monopolistici che sopravvivono nelle imprese nazionali verticalmente integrate. Da questo impasse si può uscire solo imponendo la separazione proprietaria delle reti e superando il dogma della proprietà pubblica e nazionale delle imprese energetiche.
12 Aprile 2011
Argomenti / Ambiente e Energia , Diritto e Regolamentazione , Politiche pubbliche
Sergio Ascari
Il confronto tra il mercato europeo del gas e quello americano è indice di un fallimento dell’UE nell’introdurre vera concorrenza. In parte questo è spiegabile con la scelta di consolidare i monopoli nel trasporto del gas e controbilanciarli con una regolazione molto intrusiva a livello nazionale. Manca del tutto una visione europea di un mercato che tuttavia ha dimensione continentale. La proprietà pubblica e comunque nazionale dei principali operatori è stata un rilevante freno ai tentativi di introdurre la competizione. Le criticità dell’attuale congiuntura (domanda inferiore alle attese, difficoltà dei principali operatori a far fronte agli obblighi take or pay, declino della produzione europea e obblighi del Terzo Pacchetto Energia) aprono però una finestra di opportunità. I mercati finanziari tendono a premiare la maggiore trasparenza e i minori rischi (in particolare politici, regolatori e antitrust) dei regimi in separazione proprietaria delle reti di trasporto. La crescita delle maggiori imprese del settore, che nei fatti può avvenire solo all’estero, è un importante driver di integrazione dei mercati europei. Perché la concorrenza possa tradursi in un effettivo beneficio per i consumatori, è essenziale procedere alla separazione proprietaria delle reti e al superamento della proprietà pubblica e della protezione per gli operatori nazionali.