Cambiare musica. Il decreto dignità e le sue conseguenze sulle fondazioni lirico-sinfoniche

Le fondazioni, per l’attività che svolgono, hanno bisogno di una struttura molto elastica della forza lavoro


18 Aprile 2019

Argomenti / Diritto e Regolamentazione , Economia e Mercato , Teoria e scienze sociali

Filippo Cavazzoni

Direttore editoriale

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Nei mesi scorsi, le due più importanti istituzioni musicali romane, il Teatro dell’Opera e l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, si son viste costrette a cambiare la loro programmazione per tenere conto del decreto dignità: “Lo schiaccianoci” è stato addirittura cancellato al Costanzi, mentre “Pelleas und Melisande” di Schönberg è stato sostituito da “Verklärte Nacht” del medesimo compositore. Stessa sorte è toccata all’Arena di Verona, che ha dovuto cambiare in corsa il titolo di apertura della stagione invernale cominciata a fine gennaio.

La limitazione del ricorso ai contratti a termine, stabilita dal decreto dignità, ha avuto ripercussioni negative sulla programmazione delle fondazioni lirico-sinfoniche. Alcune di queste, a causa delle nuove norme e di una sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE), hanno così dovuto rinunciare all’utilizzo di artisti o tecnici e modificare il proprio cartellone. Secondo la legge delle conseguenze inintenzionali, una misura contro la precarietà del lavoro si è così rivelata una misura contro il lavoro. Il tentativo di difendere lavoratori precari ha reso più difficile il loro impiego, condannandoli a una maggiore precarietà.

Le fondazioni lirico-sinfoniche, per l’attività che svolgono, hanno bisogno di una struttura molto elastica della forza lavoro, che si adatti alle necessità produttive: ogni spettacolo richiede un numero diverso di esecutori. Ma il “combinato disposto” di questi due provvedimenti [decreto dignità e sentenza CGUE] ha reso un terreno minato l’utilizzo di personale aggiuntivo.

La sentenza della Corte ha creato una situazione che rischia di essere usata dai giudici ai fini del reintegro del lavoratore, specie appunto dopo il decreto dignità, e che quindi richiede effettivamente un intervento normativo di riequilibrio, sperando che l’intervento vada nel senso di una deroga alla disciplina generale, perché la vicenda dei concerti cancellati dimostra che irrigidire il mercato del lavoro vuol dire cancellare occasioni di lavoro, impedire l’incontro della domanda con l’offerta e persino la visione di uno spettacolo!.

Cambiare musica. Il decreto dignità e le sue conseguenze sulle fondazioni lirico-sinfoniche

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