Dove non si è presentato alcun concorrente i ribassi sono stati appena del 5 per cento
30 Marzo 2023
Argomenti / Ambiente e Energia , Diritto e Regolamentazione
Carlo Amenta
Direttore Osservatorio economia digitale
Carlo Stagnaro
Direttore Ricerche e Studi
Alfonso Merendino
Le gare per le reti di distribuzione del gas, introdotte dal Decreto Letta nel 2000, sono ancora molto indietro: finora ne sono state bandite solo 31, di cui sette concluse e appena tre effettivamente assegnate. A cosa si deve questo ritardo? E in che modo gli obiettivi di decarbonizzazione possono incidere sulle gestioni e sulla disciplina del settore?
Lo studio si compone di tre parti. Nella prima vengono esaminati i risultati delle gare che si sono concluse. Sebbene il campione sia limitato, esse consentono di trarre alcune conclusioni. In particolare, nelle due gare in cui non si è presentato alcun contendente (Torino 1 e 2) i ribassi sono stati minimi: lo sconto sul prezziario in entrambi i casi è stato del 5 per cento (contro una media del 70 per cento nelle altre). Inoltre, le estensioni gratuite assommavano ad appena 15 m / cliente contro una media di circa 400; il canone per i comuni era di appena il 3 per cento contro una media del 10 per cento (il massimo consentito); i titoli di efficienza energetica aggiuntivi l’1 per cento contro il 20 per cento.
Se le gare, dove si sono svolte, effettivamente hanno prodotto i risultati attesi, perché sembra così difficile procedere con la celebrazione anche negli Ambiti dove ancora non sono state bandite? Per rispondere a questa domanda, lo studio ha somministrato un questionario a un campione di dieci operatori, rappresentativi di una quota di mercato congiunta di circa il 65 per cento in termini di volumi di gas trasportati e del 70 per cento in termini di punti di riconsegna. La survey ha evidenziato una serie di ostacoli, relativi tra l’altro all’accesso alle informazioni necessarie, all’incertezza riguardo ad alcuni elementi di offerta e alle difficoltà procedurali (per esempio in relazione alle metodologie per le analisi costi benefici). Inoltre, alcuni aspetti della disciplina – per esempio l’importanza assegnata alle estensioni delle reti e i criteri legati all’innovazione tecnologica – appaiono obsoleti. Di questo è, almeno in parte, consapevole anche il Legislatore, visto che la legge concorrenza 2021 prevede un aggiornamento di alcuni tra questi criteri.
Alla luce di queste considerazioni, lo studio si conclude con una serie di implicazioni di policy, relative alle modalità di celebrazione della gara, agli obiettivi delle gestioni e a una prospettiva più di lungo termine nella chiave della transizione energetica. In primo luogo, gli autori suggeriscono di garantire accesso alle informazioni necessarie in tempi certi e in formato inter-operabile e di semplificare, standardizzandole, le analisi costi-benefici. Secondariamente, suggeriscono – coerentemente con quanto disposto dalla legge concorrenza 2021, in via di attuazione – di intervenire sui criteri, espungendo l’estensione della rete (salvo dove necessario) e rivedendo, anche in modo “aperto”, l’innovazione tecnologica. Infine, sottolineano che le gare per la distribuzione gas vanno messe nella prospettiva della transizione energetica. Ciò significa anzitutto pensare al futuro delle infrastrutture gas, sia in relazione ai volumi trasportati, sia alla possibile miscelazione o sostituzione del gas metano con gas rinnovabili. Ma impone anche di ragionare in modo coordinato con le infrastrutture per la distribuzione elettrica, le cui concessioni scadranno nel 2030 e che richiedono l’avvio delle procedure di affidamento entro il 2025. A tal fine è opportuno interrogarsi sulle possibili forme di convergenza e sulla sproporzione dimensionale tra i 172 ambiti gas e il maxi-ambito per la distribuzione elettrica che da solo serve oltre l’80 per cento dei clienti.
È importante che i problemi siano esplicitati e discussi, per evitare che – come in parte è accaduto nel caso delle gare gas – riforme impegnative vengano bloccate da dettagli attuativi che poi ne compromettono la realizzazione e le rendono obsolete. Tanto più che già oggi il disegno del decreto Letta, pur attuale nel suo impianto, appare non solo superato sotto alcuni aspetti, ma addirittura introduce in sede di gara incentivi opposti rispetto a quelli di cui il regolatore sta gradualmente informando le scelte in materia tariffaria. Ne è un ovvio esempio (ma non l’unico) il peso sin qui attribuito in sede di gara all’espansione della rete (forse in via di superamento con il DM Mase che dovrebbe aggiornare il DM 226/2011), a cui fa da contraltare una revisione delle metodologie tariffarie che ha invece come primo obiettivo impedire il sovra-investimento. A maggior ragione tale questione di metodo si pone in relazione all’evoluzione delle infrastrutture elettriche, a dispetto dell’evidente interessa pubblico a un maggior coordinamento nelle strategie di sviluppo. Nessuno di questi problemi è di per sé esiziale ma la loro coesistenza rischia di mettere in seria difficoltà un settore che, in questo momento, deve trovare una rinnovata identità e una funzione evolutiva. Ciascuno di questi problemi può essere risolto – in alcuni casi facilmente e in modo relativamente poco controverso, in altri casi con interventi più profondi e bisognosi di una discussione ampia. Tutti questi problemi devono però essere riconosciuti, resi espliciti e affrontati.