L’obbligo di analisi di impatto della regolazione è una forma di semplificazione che finisce per rendere ancor più complesse le procedure. L’AIR sembra pensato in funzione al buon senso comune, ma rischia di non produrre alcun miglioramento.
Si presenta nella prassi come un meccanismo faticoso per rendere obbligatorio quello che buon senso potrebbe dettare più semplicemente: ovvero ponderare prima di decidere, bilanciare gli effetti negativi e positivi di un atto o di un’attività prima della loro adozione. L’AIR sembra pensato in funzione vicariale al senso comune, la ponderazione tra vantaggi e svantaggi del proprio comportamento, sulla base delle proprie conoscenze.
È importante che i governi si sforzino di comprendere fino in fondo le conseguenze delle nuove norme, ma l’AIR, e il modo in cui viene introdotta in Italia, rischiano di non produrre alcun miglioramento sostanziale, immettendo al contrario nuove ruggini e farraginosità. Inoltre, c’è la sensazione che a volte si perda di vista un punto fondamentale: la regolazione, per essere “buona”, deve necessariamente essere poca. Non è moltiplicando norme e adempimenti che si possono risolvere i problemi strutturali del Paese.