La normativa tradisce un pregiudizio culturale, per cui il lavoro è quello subordinato e a tempo indeterminato. La riforma rappresenta un intervento di stampo pubblicistico che comprime il ruolo degli attori di un libero sistema di relazioni industriali
Con la riforma del mercato del lavoro, il governo ha apparentemente dato un taglio alle prassi concertative in uso da decenni. Il fatto che la riforma Monti-Fornero non piaccia né ai sindacati né alla controparte imprenditoriale è uno degli argomenti a favore della tesi del governo, che sostiene di avere prodotto una riforma “equilibrata” e pertanto sgradita agli interessi costituiti. Tanto basta per farne una buona riforma?
La nuova normativa introdotta tradisce un pregiudizio culturale, quello per cui il lavoro è per definizione quello subordinato e a tempo indeterminato. È in virtù di questo pregiudizio che si possono leggere le forti restrizioni alla flessibilità in entrata, che avranno molto probabilmente un esito negativo specie rispetto all’occupazione dei giovani.
Che la riforma Monti-Fornero non piaccia a nessuno non è allora un pregio, ma un grande limite di un intervento pubblicistico che comprime il ruolo degli attori di un libero e responsabile sistema di relazioni industriali nella regolazione dei rapporti di lavoro a livello settoriale, territoriale e aziendale.