Lo Stato si arroga il ruolo di decisore di ultima istanza degli investimenti nel 5G senza neppure metterci i soldi
Le forme dello statalismo cambiano continuamente ma la sostanza rimane la stessa e, anzi, si fa più aggressiva.
Il decreto sull’ampliamento del golden power, approvato in questi giorni, contiene fra le tante cose una serie di estensioni e rafforzamenti del potere di indirizzo dello Stato sugli investimenti privati nelle infrastrutture critiche del Paese. Un potere motivato con la necessità di contenere i rischi per la sicurezza portati da investitori che intendono o possono arrecare danno a tali infrastrutture. Gli investimenti nella rete 5G rientrano a pieno titolo tra quelli oggetto di intervento discrezionale dello Stato. Lo Stato, in nome del bene pubblico sicurezza, si arroga il ruolo di decisore di ultima istanza degli investimenti nel 5G senza neppure metterci i soldi e quindi senza neppure essere responsabile dei risultati.
Più in generale, vi sono due prerequisiti per rendere efficace la spesa pubblica. Il primo è l’individuazione di un bene pubblico che non sia raggiungibile dagli operatori di mercato perché vi è un fallimento di mercato da superare. Il secondo è la responsabilità dell’amministrazione nel perseguimento del progetto o servizio in questione. La qualità della ricerca di base è un prerequisito dell’innovazione, ma il tentativo di intervenire in modo diretto, dirigistico sugli investimenti innovativi da parte della pubblica amministrazione si scontra contro due ostacoli: manca l’individuazione del bene pubblico e manca la possibilità di raggiungere un risultato sensato dati i tempi di cui la pubblica amministrazione necessita.