La vicenda del rate parity è paradigmatica della scarsa propensione del pensiero italiano, di cui il Parlamento è rappresentativo forse più di quanto non si voglia credere, su cosa siano la libertà contrattuale e la libera concorrenza
Le clausole di “rate parity”, spesso contenute nei contratti standard delle cosiddette online travel agencies (OTA), stabiliscono che, per poter usufruire dei loro servizi, gli albergatori non possano praticare prezzi inferiori a quelli da loro offerti sui rispettivi siti internet. Tale misura persegue l’obiettivo di ridurre il potere contrattuale dei big player del settore delle OTA (Booking ed Expedia).
A causa del divieto di rate parity non solo gli investimenti delle agenzie già sul mercato dovranno essere ridotti, ma oltretutto l’ingresso di nuovi concorrenti verrà scoraggiato, favorendo, paradossalmente, gli incumbent; inoltre ad essere penalizzate sarebbero soprattutto le strutture ricettive medio/piccole, impossibilitate a condurre gli investimenti necessari a fornire un servizio simile a quello offerto dalle OTA.
Il divieto assoluto di rate parity determinerebbe l’emersione di alcune criticità anche in relazione alla sua compatibilità con il diritto dell’Unione Europea.