Il caso del latte sardo
La protesta degli allevatori sardi, che lamentano un prezzo all’origine del latte di pecora insufficiente a coprire i costi di produzione, è un caso di scuola per comprendere i rischi che si corrono alimentando aspettative sbagliate negli attori di una filiera che disporrebbe, anche senza intervento pubblico, degli strumenti per tutelare la competitività e la sostenibilità di tutte le aziende coinvolte nel processo produttivo, allevatori compresi.
Le azioni a tutela di un settore particolarmente delicato come quello primario sono inevitabilmente distorsive del mercato, e vanno quindi messe in atto con molta cautela, dopo un’analisi approfondita e tenendo conto delle conseguenze, soprattutto quelle inintenzionali.
Analizzate le iniziative del governo per superare la crisi del latte sardo, la conclusione è che l’intervento pubblico, sia per fissare un prezzo indicativo più alto di quello che oggi il mercato è in grado di riconoscere che per smaltire le eccedenze invendute di formaggio, potrebbe configurarsi come un incentivo all’azzardo morale, spingendo gli operatori a non intervenire nella soluzione delle cause della crisi con gli strumenti “eccezionali” di cui la filiera dispone, ma anzi a riprodurla ciclicamente negli anni a danno dei contribuenti. Se la condizione in cui versano le aziende è tale da rendere inevitabili interventi di questo tipo, dovrebbero essere allo stesso tempo messe in campo contromisure adeguate per evitare il ripetersi di situazioni simili in futuro.