Le banalizzazioni del ministro dello sviluppo economico sull'educazione alimentare
8 Luglio 2019
Argomenti / Diritto e Regolamentazione , Economia e Mercato , Politiche pubbliche , Teoria e scienze sociali
Giuseppe Portonera
Forlin Fellow
Di fronte alla platea di Coldiretti, il ministro dello Sviluppo economico, Luigi di Maio, ha detto che: «l’educazione alimentare si deve fare nelle scuole prima di tutto eliminando tutti questi distributori di cibo spazzatura che viene somministrato ai nostri figli» e che è «assurdo che un bambino nel corridoio della sua scuola abbia ancora un distributore di Coca Cola o prodotti non made in Italy». Piuttosto, «mettiamoci un bel distributore di succo d’arancia».
In questo Focus si fa il punto su tre “facili verità” sollevate da Di Maio: quanto è spazzatura il cibo spazzatura? È vero che dove c’è la Coca cola non ci sono le arance (italiane)? È vero che dove c’è la Coca cola non c’è il made in Italy?
In verità, c’è un problema di fondo più grande e importante dei termini dell’infelice dichiarazione di Di Maio, che – come chiarito in apertura – è rappresentato dalla banalizzazione del tema dell’educazione alimentare. È un peccato che un argomento così importante sia non solo svilito per il fine di inseguire qualche applauso a una convention o qualche titolo sui giornali, ma anche trattato secondo una direttrice che è facile riassumere in “meno libertà, più obblighi”.
Il “paternalismo” (soft o hard) che i nostri politici esibiscono ogni qualvolta si parla di educazione alimentare è dannoso sotto più profili: a parte il profilo della dubbia efficacia per il miglioramento della salute individuale, l’esempio delle dichiarazioni del ministro Di Maio – che, comunque, è il ministro dello sviluppo economico, non quello della sanità – dimostra che esso può rappresentare una minaccia anche alla crescita (seria e sostenuta) del paese.