La crisi e le sfide fiscali. Perché le soluzioni keynesiane non sono la risposta

Si ragiona come se il raggio d’azione dei poteri pubblici si fosse ridotto, quando semmai è vero il contrario. Si ripetono parole altisonanti, solo per giustificare il mantenimento di spese con il fine di alimentare il consenso e non la crescita economica


5 Febbraio 2014

Argomenti / Politiche pubbliche

Vito Tanzi

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Vito Tanzi (già Direttore del Dipartimento Affari Fiscali del Fondo Monetario Internazionale) affronta il tema di come sia possibile predicare ulteriore spesa come rimedio alla crisi che stiamo attraversando quando essa stessa è causata dagli effetti perversi dell’eccesso di spesa.
Sono infatti quegli alti livelli di spesa a produrre: (a) inefficienza nella spesa, necessità di una tassazione elevata e spesso sistemi fiscali complessi; (b) fenomeni di free riding e rent seeking da parte dei cittadini nell’ambito dei programmi statali; (c) complessità e problemi di governance, inclusi, a volte, gravi problemi di corruzione nell’ambito dei programmi di spesa; (d) alto debito pubblico, che può portare a problemi macroeconomici; (e) disuguaglianza orizzontale fra quei beneficiari dei programmi governativi che ne hanno pieno diritto e quelli che non ne hanno diritto, o ne hanno meno, ma che comunque ottengono simili benefici di disabilità; a cui si aggiungono “trappole della povertà” a danno di alcuni individui, qualora l’aumento delle aliquote sul loro reddito si traducesse in una perdita di parte dei loro sussidi pubblici.

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Oggi si ragiona come se l’intervento pubblico fosse oltremodo ridotto, ma è il contrario condividi con questo commento
It is often alleged that there’s not enough economic interventionism, but it’s quite the opposite condividi con questo commento
oggi, 24 Dicembre 2024, il debito pubblico italiano ammonta a il debito pubblico oggi
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