In Italia la proprietà non è percepita come un valore 'in sé', e per questo non viene tutelata come dovrebbe
15 Maggio 2017
Argomenti / Diritto e Regolamentazione , Teoria e scienze sociali
Giacomo Lev Mannheimer
Nelle principali classifiche internazionali sul grado di libertà economica nei diversi Paesi, l’Italia ottiene risultati a dir poco insoddisfacenti per quanto riguarda la protezione dei diritti di proprietà. Tale tendenza, negli ultimi anni, si è manifestata con particolare evidenza con l’emersione nel dibattito pubblico di un nuovo diritto sociale: il cosiddetto “diritto all’abitazione”, che anche secondo diverse pronunce giurisprudenziali dovrebbe essere considerato come un diritto costituzionale, pur non essendovi menzionato espressamente.
Quello delle occupazioni abusive, infatti, costituisce un problema sociale sempre più allarmante, come testimoniano, di recente, la scampata depenalizzazione dell’omologo reato, la copiosa giurisprudenza che ne giustifica la commissione sulla base di esigenze di solidarietà che, nel tempo, si sono via via allargate fino a ricomprendere fattispecie del tutto lesive del diritto di proprietà, nonché, da ultimo, la legge di conversione del “decreto sicurezza”.
La mancanza di protezione della proprietà privata non è di origine strettamente ‘legale’, bensì culturale. Le occupazioni abusive, infatti, sono valutate dai decisori pubblici e dai tribunali, nei loro effetti e problemi connessi, contemperando esigenze e interessi diversi: dal principio alla legalità all’ordine pubblico, dalla dignità personale al diritto all’abitazione; in questo bilanciamento, tuttavia, il diritto di proprietà non rientra quasi mai, se non indirettamente.
Il diritto di proprietà non è considerato, generalmente, un valore in sé, ma soltanto, casomai, uno strumento giuridico utile a tutelarne e promuoverne altri.”