Come passare dall'obbligo al diritto di vaccinarsi
8 Febbraio 2021
Argomenti / Diritto e Regolamentazione , Politiche pubbliche , Teoria e scienze sociali
Vitalba Azzollini
Serena Sileoni
Con tre vaccini in distribuzione nei paesi dell’Unione europea, la questione sanitaria è diventata come consentire che siano il più rapidamente e efficacemente somministrati. I profili sono due: uno logistico e uno di compliance. Si tratta di questioni fortemente intrecciate tra loro, non foss’altro perché è impensabile pretendere una “domanda” di vaccinazione se non esiste una concreta offerta, che in questo caso non vuol dire soltanto una fornitura numericamente adeguata, ma anche una distribuzione e una strategia dettagliata di somministrazione.
In questo studio si cerca di valutare se sia possibile e opportuno obbligare le persone a vaccinarsi. Parlare di obbligo vaccinale è senz’altro prematuro: non vi sono le principali condizioni giuridiche, sanitarie e politiche per farlo. Non vi sono ancora dati definitivi sugli effetti sulla trasmissibilità, e quindi sulle ricadute sulla sanità pubblica; non vi è una distribuzione tale che possa rendere esigibile l’obbligo e infine non vi è ancora evidenza del livello di fiducia o sfiducia delle persone sul vaccino.
Tuttavia, poiché la proposta scorre carsicamente, è sembrato di una qualche utilità definire le condizioni che la renderebbero non solo giuridicamente valida, ma anche opportuna nei tempi e nei modi. Più chiaramente, quando i dati e le conoscenze scientifici e le quantità disponibili lo consentiranno, sarà fruttuoso ragionare non già di un obbligo vaccinale generale, ma delle modalità per accelerare la vaccinazione di massa, ricorrendo anche a una distribuzione parallela nei termini sopra indicati, dalle farmacie ai luoghi di lavoro. Nel momento in cui le acquisizioni della scienza e l’offerta farmaceutica consentiranno di raggiungere ulteriori certezze, sarà non solo il diritto, ma la volontà delle persone di tornare a lavorare e, comunque, a vivere un’esistenza “normale”, ciò che darà l’impulso al ricorso alla vaccinazione.
Al momento non si può che confidare nell’efficienza degli organismi preposti al fine di assicurare che sia predisposto – meglio tardi che mai? – un trasparente piano vaccinale, dettagliato ed esaustivo, fondato su criteri idonei a giustificare le scelte effettuate; che le dosi di vaccino disponibile, attualmente e nei prossimi mesi, siano somministrate con la massima sollecitudine, verificando che ne siano destinatarie le categorie puntualmente indicate nel piano; che si eviti l’allestimento di “scenografie” vaccinali inutilmente costose, procedendo con la massima concentrazione e determinazione a ciò che serve; che si evitino anche polemiche scomposte, come ad esempio sulla riservatezza dei contratti, le dosi disponibili, i limiti del sistema brevettuale. Soprattutto, si auspica che profili variamente connessi alle vaccinazioni non siano resi oggetto di contesa politica, finalizzata a raccogliere consensi elettorali o a mettere le mani davanti alle difficoltà. Se è vero che le scelte attinenti alle vaccinazioni competono ai decisori politici, è bene che il tema non sia svilito nel guazzabuglio usuale. E sarebbe ancora meglio se si potesse sottrarre all’esclusiva dell’arbitrio politico (qualunque esso sia e di qualsiasi grado di razionalità esso goda) la distribuzione dei vaccini, ricorrendo alla più leale delle collaborazioni tra Stato e privati: grazie alla quale il primo arriva dove gli altri da soli non riescono.