21 Febbraio 2019
Argomenti / Ambiente e Energia , Diritto e Regolamentazione , Economia e Mercato , Politiche pubbliche
Cosimo Melella
Carlo Stagnaro
Direttore Ricerche e Studi
Il 95 per cento degli italiani è già servito da gestori idrici a controllo pubblico. La proposta di legge per la pubblicizzazione dell’acqua non produrrebbe alcun cambiamento sostanziale, ma metterebbe a repentaglio gli investimenti ambientali e costerebbe decine di miliardi allo Stato.
Il disegno di legge sull’acqua pubblica, attualmente in discussione alla Camera interviene su tre aspetti: i) anticipa la scadenza delle concessioni esistenti; ii) impone che dal 2020 i soggetti gestori del servizio debbano essere enti pubblici; iii) sposta i poteri in materia di tariffe dall’Autorità per l’energia al Ministero dell’Ambiente. Complessivamente circa 41 milioni di italiani (il 68,7 per cento) sono serviti da gestori interamente pubblici, mentre il restante 31,3 per cento (18,7 milioni) ricevono il servizio da soggetti che hanno la partecipazione di capitali privati ma per la maggior parte rimangono a controllo pubblico. Solo il 5 per cento degli italiani hanno gestori a controllo privato.
In compenso, la pubblicizzazione del settore comporterebbe indennizzi una tantum stimati in 8,7-10,6 miliardi di euro, a cui si aggiungerebbero oltre 3 miliardi di euro per il rimborso del debito finanziario a carico degli enti locali e circa 2 miliardi (espressi come valore attualizzato) per i mancati introiti da canoni di concessione. Non solo: se la riforma fosse approvata, i gestori del servizio sarebbero riclassificati ai fini statistici all’interno del perimetro pubblico. In tal caso, i rispettivi debiti andrebbero consolidati nel bilancio degli enti controllanti. Si tratta di circa 17 miliardi di euro, a cui si aggiunge un fabbisogno annuo di 2-4 miliardi di euro per i nuovi investimenti. Infine, il ritorno della politica tariffaria al Governo metterebbe a repentaglio la capacità delle imprese di raccogliere le risorse richieste dagli investimenti necessari. Tale modifica verrebbe introdotta proprio nel momento in cui gli investimenti sono tornati a crescere. Il fabbisogno di investimenti riguarda soprattutto la depurazione, ancora insufficiente o inadeguata per il 15 per cento della capacità e il 21,5 per cento del carico trattato.