Il piano del governo sulla banda larga non deve avere la pretesa di imporre scelte tecnologiche o, peggio ancora, discriminare tra operatori.
9 Marzo 2015
Argomenti / Politiche pubbliche
Rosamaria Bitetti
Fellow, IBL e ricercatrice in Analisi delle Politiche Pubbliche, Università LUISS Guido Carli
Qualsiasi “piano” per la banda larga deve tenere conto del fatto che si tratta di un settore privatizzato, e in cui le risorse per gli investimenti devono necessariamente provenire da privati. L’intervento deve quindi conciliarsi con esigenze concorrenziali, come previsto dall’Unione Europea. L’intervento pubblico deve avere una funzione sussidiaria e il meno distorsiva possibile nelle zone dove si può creare un mercato, orientando le risorse scarse agli utenti in digital divide piuttosto che a sovvenzionare gli early adopter. Per pensare politiche pubbliche che non sprechino risorse e distorcano la concorrenza, è necessario raccogliere e rilasciare dati sulle infrastrutture e sul mercato in maniera trasparente. Bisogna superare un approccio unidimensionale al problema della domanda: non basta finanziare le infrastrutture o sovvenzionare il consumo, il governo deve impegnarsi affinché internet sia effettivamente utile per i cittadini, rilasciando open data e digitalizzando la pubblica amministrazione.