Un commento di Christopher DeMuth Sr., Distinguished Fellow dello Hudson Institute
Il governo degli Stati Uniti ha seguito una politica di pareggio del bilancio per 181 anni, dalla sua fondazione (1789) fino al 1969. A partire dal 1970 è invece passato a una politica di deficit di bilancio. Come mai è avvenuto questo cambiamento? E cos’ha comportato?
La trasformazione nelle dinamiche di finanzia pubblica, descritta da DeMuth, è stata lenta e progressiva, senza veri e propri strappi, ma la sua entità è ben chiara se si adotta una prospettiva storica. Oggi il debito pubblico americano ha raggiunto i 28.000 miliardi di dollari, una cifra nettamente superiore al PIL attuale.
Il caso degli Stati Uniti non è tanto diverso da quello di molti altri paesi occidentali, che hanno visto letteralmente esplodere la spesa pubblica come conseguenza di un welfare sempre più esteso e generoso. Nel 1970, negli USA, circa il 36 per cento della spesa federale andava per prestazioni assistenziali di vario tipo – pensioni, sanità, ecc. Ai nostri giorni ha raggiunto circa il 76 per cento delle uscite federali e secondo stime ufficiali si sta dirigendo rapidamente verso l’80 per cento.
Per DeMuth, il “passaggio dalla politica del pareggio di bilancio a quella del deficit di bilancio è stato ‘materiale’ piuttosto che culturale o intellettuale. È stato più che altro l’esito di un diffuso benessere e dell’alta tecnologia”, che ha visto “l’organizzazione di efficaci gruppi di interesse sempre più frantumati, nonché di gruppi ideologici sul versante della domanda dei ‘mercati politici’”. Il problema risiede dunque nel “sistema di polverizzazione delle prebende, nato dall’urgenza di dover ‘regalare’ tutto a tutti, in cui si è di fatto trasformato il moderno governare”.