Riciclare, indietro tutta? Quando l'Europa improvvisa

La proposta sugli imballaggi ribalta anni di enunciazioni sull'ambiente e sconfina sul terreno delle politiche industriali

12 Dicembre 2022

L'Economia – Corriere della Sera

Alberto Mingardi

Direttore Generale

Argomenti / Ambiente e Energia Politiche pubbliche

La proposta di regolamento sugli imballaggi presentata all’inizio del mese dalla Commissione europea parrebbe ispirata alle migliori intenzioni: ridurre gli impatti delle nostre attività produttive e delle scelte di consumo. Lo strumento scelto però è una netta sterzata verso alcune tecnologie specifiche e la fissazione di obiettivi quantitativi differenziati per settore. Si tratta di una incursione nel territorio sempre più battuto della politica industriale.

In particolare, l’obiettivo generico della proposta è ridurre del 15% la produzione pro capite di rifiuti da imballaggio entro il 2040. Come ha scritto Francesca Basso sul «Corriere», questo implica – tra l’altro – che «l’80% delle vendite di bevande da asporto dovrà essere servito in imballaggi riutilizzabili o usando i contenitori dei clienti (il 20% entro il 2030). La proposta prevede anche l’introduzione di sistemi obbligatori di cauzione-rimborso per le bottiglie di plastica e le lattine di alluminio. Inoltre entro il 2030 tutti gli imballaggi presenti sul mercato Ue dovranno essere riciclabili».

La strada scelta solleva una serie di questioni che andrebbero affrontate in modo esplicito, perché essa implica una deviazione significativa non solo dai principi alla base della politica ambientale europea («chi inquina paga»), ma anche delle scelte perseguite finora in materia di economia circolare. In sostanza, l’idea di fondo è che sul riciclo abbiamo scherzato: d’ora in poi gli investimenti e i processi produttivi delle imprese andranno riorientati, da un lato, a eliminare gli imballaggi “superflui” (qualunque cosa ciò significhi); e, dall’altro, a rivoluzionare i canali distributivi delle imprese, accorciando le filiere produttive e avvicinando la produzione (o quanto meno la distribuzione di massa) al consumo.

Molti hanno notato che questa sterzata rischia di infliggere un danno molto pesante all’industria italiana, che nel riciclo e nel settore degli imballaggi può annoverare molte eccellenze. Altri hanno sottolineato che non si capisce come il nuovo indirizzo europeo possa coniugarsi con scelte anche recenti (per esempio le risorse stanziate nel Pnrr sull’economia circolare). Un grande industriale italiano, Antonio D’Amato, ha sottolineato come la norma proposta «considera l’imballaggio un orpello, una sovrastruttura inutile» dimostrando «la mancata consapevolezza del ruolo fondamentale che svolge l’imballaggio nella società contemporanea».

Giuseppe Portonera, in un Focus dell’Istituto Bruno Leoni, ha sollevato un altro tema. Più rilevante ancora della sostanza del nuovo regolamento, è il metodo scelto. Sotto almeno due prospettive. In primo luogo, ancora una volta la Commissione – a dispetto di tutte le dichiarazioni sulla neutralità tecnologica che si trovano nei documenti ufficiali – non si limita a enunciare obiettivi ambientali, per quanto ambiziosi. Indica anche la strada attraverso cui essi devono essere raggiunti: per esempio, in questo caso, assume che la riduzione degli imballaggi sia uno strumento più efficace rispetto al potenziamento delle attività di riciclo e riuso. In questo modo, con un tratto di penna, fa piazza pulita non solo degli sforzi delle imprese che si sono dedicate a perfezionare i loro cicli produttivi proprio per limitare la quantità di rifiuti da smaltire, ma pure delle potenziali innovazioni tecnologiche che potrebbero coinvolgere i materiali da imballaggio e le tecniche di raccolta, riuso e riciclo degli imballaggi stessi.

Inoltre la scelta della Commissione non colpisce solo le imprese che producono imballaggi – stabilendo per legge che le loro produzioni dovranno declinare e fissando le tipologie di materiali che dovranno impiegare – ma condiziona fortemente anche tutti coloro che producono beni imballati. Alcuni di questi hanno scelto modalità organizzative e commerciali che premiano la distribuzione tramite vuoto a rendere; altri hanno preferito (magari anche per ragioni di igiene) puntare su un utilizzo più diffuso degli imballaggi usa e getta, come nel caso delle bevande o dei cibi confezionati oppure dei blister farmaceutici.

Ora, il nuovo regolamento attribuisce agli uni un vantaggio competitivo sugli altri, e non già perché essi abbiano performance necessariamente migliori, ma solo perché hanno avuto la fortuna di trovarsi in sintonia con gli orientamenti del legislatore europeo. In altri termini, il nuovo regolamento (se entrerà in vigore) rappresenterà l’ennesimo choc auto-inflitto all’industria europea, che oltre tutto ne indirizzerà pesantemente gli investimenti in ricerca e sviluppo, facendo abbandonare sentieri potenzialmente promettenti ed elevando vincitori e vinti sulla base di un pregiudizio.

È lo stesso problema che vediamo in altri ambiti, dal bando del motore endotermico nel 2035 alla corsa a innalzare gli obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2 senza alcun confronto con la realtà e soprattutto senza considerare le opzioni alternative. L’Ue si è assegnata lo scopo di conquistare la leadership ambientale globale: ma sta declinando tale ambizione attraverso una produzione normativa e regolatoria sempre più intricata e basata su scelte discrezionali o addirittura preferenze individuali dei singoli commissari. Diceva qualcuno che le catene dei popoli sono fatte con la carta dei ministeri: si tratta del peggiore dei rifiuti, per nulla riciclabile e immensamente dannoso per le nostre economie.

da L’Economia del Corriere della Sera, 12 dicembre 2022

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