Rider e non più rider

Come sempre si vuole imporre una soluzione unica a una varietà di problemi molto diversi

6 Agosto 2019

IBL

Argomenti / Diritto e Regolamentazione

La legge sui rider come eterna incompiuta di questo governo? Luigi Di Maio inaugurò il suo mandato da Ministro del Lavoro ricevendo i rappresentanti dei fattorini del food delivery e promettendo loro che avrebbe costretto le piattaforme online ad assumerli. In realtà fu presto chiaro che un simile provvedimento avrebbe semplicemente ucciso il settore e la norma si inabissò. Adesso, oltre un anno dopo, Di Maio torna alla carica minacciando un decreto che, tra l’altro, dovrebbe imporre una paga minima oraria (purché i rider effettuino almeno una consegna all’interno dell’ora) e l’obbligo di copertura Inail per gli infortuni sul lavoro. Verrebbe inoltre istituito un Osservatorio presso il Ministero del Lavoro, con l’obiettivo di monitorare il mercato e proporre eventuali modifiche normative.

Rispetto alle bozze circolate mesi fa, ci sono una buona e una cattiva notizia. La buona notizia è che Di Maio sembra aver compreso che il modello di business delle piattaforme si basa proprio sulla flessibilità del loro rapporto coi fattorini. Non solo: questi ultimi, generalmente, non concepiscono l’attività di rider come un “lavoro” ma come un’occupazione temporanea, per arrotondare o per far fronte a un periodo di difficoltà o disoccupazione. Tipicamente la loro relazione con le piattaforme è di breve durata (in media sei mesi) e quindi è improponibile sovraccaricarla di norme.

La cattiva notizia è che, anziché demandare la tutela dei diritti dei lavoratori alla negoziazione tra le parti, il Governo sembra intenzionato a intervenire con la mannaia legislativa. Le misure proposte – in particolare, minimo orario e copertura Inail – rischiano di danneggiare il mercato senza garantire effettiva protezione ai rider.

Se proprio l’esecutivo vuole intervenire, dovrebbe farlo in modo diverso. In primo luogo, la garanzia del salario minimo dovrebbe essere legata a un irrigidimento del rapporto tra lavoratore e piattaforma, altrimenti si rischia di incentivare comportamenti opportunistici. A tal fine, si potrebbe prevedere un doppio canale per i rider, a seconda del quantum di flessibilità che essi intendono mantenere. In altre parole, si potrebbe immaginare che, quando un rider prende servizio, debba scegliere tra due tipologie di collaborazione: quella flessibile (in cui, come adesso, può rifiutare le singole chiamate, ma allora viene remunerato solo per le consegne che effettivamente esegue); oppure quella rigida (in cui al rider viene garantito un minimo orario, ma allora non solo ha l’obbligo di accettare almeno una chiamata nell’ora, ma anche il divieto di rifiutare eventuali altre chiamate). La ratio è semplice: se vuoi i benefici del lavoro autonomo (la flessibilità), devi accollarti il rischio conseguente; se vuoi i benefici del lavoro dipendente (la certezza della remunerazione), devi anche prendere gli oneri.

Sulla sicurezza dei lavoratori, è più comprensibile la preoccupazione del Governo, anche perché gli incidenti stradali sono – purtroppo – una delle principali cause degli infortuni sul lavoro in generale. I rider, che svolgono sulla strada il proprio mestiere, vi sono particolarmente esposti. Ma perché obbligare le piattaforme a stipulare una copertura con l’Inail? Diverse piattaforme già offrono forme di copertura contro gli infortuni ai loro fattorini, e il mercato assicurativo mette a disposizione diverse soluzioni, destinate a moltiplicarsi con lo sviluppo dell’insurtech (si pensi alle prospettive dell’instant insurance). Sarebbe sufficiente – e preferibile – obbligare le piattaforme a garantire copertura ai rider, individuando i contenuti minimi delle polizze, e poi lasciar liberi gli operatori di reperire sul mercato i prodotti con le caratteristiche migliori.

La regolamentazione dei rider è in gran parte un falso problema, ma anche nella misura in cui vi sono dei profili che possono essere disciplinati, l’esecutivo sembra peccare della solita “presunzione fatale”: voler imporre una soluzione unica a una varietà di problemi molto diversi tra di loro. L’esecutivo potrebbe raggiungere più efficacemente i propri obiettivi se si limitasse a porre le domande, lasciando che sia il mercato a dare delle risposte.

6 agosto 2019

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