Intervista a Nicola Rossi. Per l'economista occorre inserire gli incentivi nella cornice della Zes Unica per il Mezzogiorno
Nicola Rossi, economista, consigliere di amministrazione dell’istituto Bruno Leoni, uno dei think-tank liberali più ascoltati in Italia, non fa drammi per la fine degli sconti fiscali sugli stipendi del Mezzogiorno che, salvo nuove proroghe, dovrebbero finire il 30 giugno prossimo: “La decontribuzione per il Sud è nata in un momento di emergenza della nostra economia, prima o poi deve finire”. Ma nell’intervista al Quotidiano del Sud insiste soprattutto sulla necessità di intervenire all’interno della cornice delle Zone Economiche Speciali anche per garantire maggiori vantaggi competitivi sul costo del lavoro e non rinuncia una stoccata contro le Regioni meridionali: “Sono il vero tappo dello sviluppo”.
Che fine farà la decontribuzione per il Sud?
“Era strettamente legata al periodo dell’emergenza post-Covid ed era quindi prevedibile che finisse. Il governo vuole rinegoziare un nuovo regime di aiuti con Bruxelles. Vedremo quale sarà l’esito della contrattazione”.
Nel frattempo, però, per le aziende del Mezzogiorno c’è il rischio di una nuova stangata.
“Vorrei prima di tutto capire quanta parte della nuova occupazione creata nel Sud in questo periodo sia dovuta alla decontribuzione. Dai miei dati non mi risulta che ci sia stato un effetto clamoroso. Per essere più chiari, non credo che la decontribuzione abbia virtù taumaturgiche per il Mezzogiorno. Casomai bisognerebbe insistere su un altro punto, quello di ridurre per tutti l’onere fiscale e contributivo che pesa sul lavoro. E’ questa la vera emergenza. Ma le risorse a disposizione del governo sono poche”.
Non sarebbe stato meglio un addio graduale dell’incentivo, come era previsto nel disegno originario?
“Sono sempre sorpreso quando qualcuno pone il problema della scomparsa repentina di questo o quel provvedimento nato in un momento di crisi. Ad un certo punto, finita l’emergenza, deve fermarsi anche quella misura. Lo ripeto, la decontribuzione era un intervento-tampone che non ha risolto i problemi del Mezzogiorno”.
Perché?
“Servono interventi strutturali e non una tantum, magari nati sull’onda delle emergenze. Non a caso le politiche messe a punto negli ultimi 25 anni non hanno risolto il divario. Servirebbero interventi a 180 gradi. Ma, soprattutto, occorrerebbe superare l’istituto delle amministrazioni regionali, un’istituzione che nel Sud è priva di una utilità collettiva ed è un freno alla crescita del Mezzogiorno”.
Non sarebbe opportuno pensare, ad esempio, a un intervento più selettivo, in grado di orientare la nuova versione della decontribuzione sui settori più strategici per lo sviluppo del Sud?
“Gli interventi selettivi sono giusti ma hanno un piccolo problema. Chi decide la selezione? Mi perdoni lo scetticismo, ma non credo che un qualunque ufficio di un’amministrazione regionale sia in grado di valutare se un progetto sia innovativo o strategico. Con questo non voglio accusare nessuno né tanto meno criticare la qualità e la professionalità dei nostri funzionari pubblici e della nostra burocrazia. Ma è davvero difficile poter distinguere fra un’impresa cattiva e una buona”.
Che cosa propone, in particolare?
“In questo momento è stata istituita la Zes Unica per il Mezzogiorno, un’opportunità notevole per tutte le imprese. Sarebbe opportuno che tutti gli incentivi, comprese le iniziative per ridurre il carico fiscale, vengano inserite all’interno del Piano Strategico della Zona Economica speciale che dovrebbe essere messo a punto nelle prossime settimane. A questo, poi, va aggiunta la quota del 40% dei fondi del Pnrr destinata alla creazione di nuove infrastrutture. Sono due operazioni che possono davvero creare quel vantaggio competitivo alle aree del Sud per attrarre nuovi investimenti e conservare quelli esistenti”.