Per l’autunno il governo ha promesso quel che l’Italia attende da anni: una riduzione della pressione fiscale. Come e in che misura le imposte saranno tagliate, non è ancora chiaro. Il “masterplan” di Renzi per ridurre le tasse, con tanto di cronoprogramma (prima l’Imu, poi l’Irpef), deve superare una serie di ostacoli: evitare che scattino le clausole di salvaguardia, in primo luogo, ma anche, a nostro avviso, evitare tagliare le tasse in deficit.
Per sfuggire all’aumento dell’Iva anzitutto, e poi ridurre le imposte, è necessario che la “spending review” riesca a potare in modo significativo l’enorme massa della spesa pubblica.
Tuttavia, forse per mettere le mani avanti, l’esecutivo ha annunciato che l’autunno vedrà anche la riorganizzazione del sistema delle detrazioni e agevolazioni fiscali. Intervento assolutamente sensato: a patto che l’annunciato taglio delle tasse non diventi, limatura dopo limatura, nient’altro che una rimodulazione – e un incremento – del carico fiscale. Il rischio di una potatura delle detrazioni è infatti quello di aumentare la pressione fiscale effettiva.
In un Paese più libero, le imposte sarebbero drasticamente più basse e le detrazioni sarebbero minime.
La riduzione delle detrazioni è quindi auspicabile in primo luogo nella misura in cui il maggior gettito che ne deriva sia usato per ridurre, per tutti, la pressione fiscale.
In secondo luogo, una misura di quel tipo rappresenterebbe una vera e concreta semplificazione delle procedure di calcolo e pagamento dei tributi.
Negli anni, si sono affastellati tanti e diversi tipi di deduzioni, detrazioni, esenzioni, crediti di imposta e altre agevolazioni: da quelli più conosciuti, come le ristrutturazioni edilizie, le spese sanitarie e previdenziali, le spese per istruzione, gli interessi sui mutui, a quelli meno noti, talvolta persino agli stessi beneficiari.
Ci sono categorie di persone, ad esempio, che in alcuni Comuni possono rifiutarsi di pagare la tassa di soggiorno, e ci sono categorie di locali che hanno trattamenti differenziati da comune a comune, o per chi li abita, o in ragione della loro destinazione, o anche per le fonti energetiche di cui fanno uso.
Ezio Vanoni, il padre della dichiarazione dei redditi, già nel 1949 aveva la «sensazione che una esenzione, in questo nostro beato paese, non si rifiuti a nessuno».
Le agevolazioni in parte nascono per creare consenso: è quello l’obiettivo esplicito del politico che le introduce. Dietro ogni detrazione c’è un gruppo d’interesse di cui la classe politica vuole garantirsi il sostegno.
In parte, però, detrazioni e deduzioni rappresentano il modo più semplice a disposizione di chi ci governa per cercare di spingere le persone a acquistare quel bene o servizio piuttosto che quell’altro, per contribuire a questa o quella “buona causa”, per compiere quella particolare spesa e non altre. Le detrazioni rappresentano una sorta di tentativo “soft” per indirizzare il flusso di risorse in un’economia.
Ecco perché eliminare le agevolazioni non è mai semplice. Ognuna di esse è protetta da un interesse specifico. E al legislatore non starà mai bene fare piazza pulita di tutte, semplificando il sistema fiscale. Cercherà invece di eliminare questa e non quella, di ridurne una rafforzando l’altra, a seconda delle sue constituency di riferimento e sulla base del suo “grande disegno” per lo sviluppo dell’economia.
C’è un unico modo, non controverso ed equo, di ridurre le agevolazioni fiscali. Farlo con l’accetta, in modo radicale, con una chiara contropartita: meno tasse per tutti.