Nelle dichiarazioni programmatiche per la fiducia iniziale, la Presidente Meloni aveva sostenuto che la sua coalizione fosse fermamente convinta «del fatto che l’Italia abbia bisogno di una riforma costituzionale in senso presidenziale». Durante questi primi dodici mesi di governo, le idee sulla forma di governo sono state gradualmente riorientate verso il premierato.
La bozza di riforma costituzionale preparata dal Ministro Casellati e diffusa in questi giorni ha tuttavia più l’aria di sminuire il ruolo del Presidente della Repubblica che non di aumentare il peso del Presidente del Consiglio. Il Presidente della Repubblica, di certo, ne esce indebolito, sia dal punto di vista della legittimazione, restando egli una carica di democrazia indiretta rispetto a un capo di governo eletto dal popolo; sia dal punto di vista del ruolo, essendo ridotto a un atto formale quello di scioglimento delle Camere e nomina del presidente e venendogli sottratto il potere, tutto suo, di nominare i senatori a vita.
Accanto a questa marginalizzazione, la proposta non sembra però nemmeno rafforzare, come si può credere a prima vista, il ruolo del Presidente del Consiglio. La proposta prevede la sua elezione diretta, contestuale e anzi in unica scheda insieme all’elezione dei parlamentari. In tal modo, il leader politico della maggioranza diventerebbe leader di governo. Tuttavia, alla forza derivante della legittimazione iniziale non sembra derivare una capacità di tenuta del governo. In altri termini, di esercizio del premierato.
In primo luogo, il Presidente non revoca i ministri: come ora, infatti, potrà solo proporli al Capo di Stato e, di conseguenza, non potrà mandarli via. In questo modo, non gli viene riconosciuto uno dei poteri più incisivi per essere premier. In secondo luogo, e non per importanza, all’eventuale cessazione anticipata dalla carica di Presidente del Consiglio compresa dunque quella legata a una crisi di governo non corrisponde necessariamente un ritorno alle urne. In tal caso, infatti, si prevede che il Presidente della Repubblica possa conferire un nuovo incarico al medesimo Presidente dimissionario o a un altro parlamentare eletto in collegamento al Presidente uscente.
Ha ragione Salvini a dichiarare che la norma ha una chiara finalità antiribaltone: non è possibile che, a legislatura in corso, si individui una maggioranza diversa da quella emersa dalle urne. Per intenderci, non è possibile che a un Conte1 con governo giallo-verde succeda un Conte2 con governo giallo-rosso. Riconoscere, tuttavia, che la norma abbia una finalità antiribaltone non è la stessa cosa che riconoscerle una finalità di stabilità né di rafforzamento degli esecutivi.
Giorgia Meloni ha commentato che con questa riforma porterà l’Italia nella Terza Repubblica. Più che essere l’alba della Terza, la riforma segna il ritorno alla Prima Repubblica. Quest’ultima fu caratterizzata da esecutivi di breve durata ma da una stabile governabilità: i governi cadevano velocemente e facilmente, ma le maggioranze di governo si succedevano pressoché senza soluzione di continuità. Ciò spiega, ad esempio, l’apparente bizzarria per cui de Gasperi sia succeduto 4 volte a se stesso (senza contare l’ordinamento provvisorio fino al ’48), Fanfani 2 volte, Moro 3 volte nella IV legislatura e 2 nella VI, Rumor 2 volte nella V legislatura e 2 nella VI, Andreotti 2 volte tra la V e la VI legislatura, 3 volte nella VII (per tutta la durata della legislatura, anticipatamente conclusa) e 2 volte nella X, Cossiga 2 volte, Spadolini 2 volte, Craxi 2 volte.
La forza delle segreterie di partito e del compromesso politico sotteso al binomio multipartitismo-sistema elettorale proporzionale riuscì quindi a mantenere una stabilità di governo senza rafforzare la capacità decidente del Presidente del Consiglio, anzi al contrario manifestandone la debolezza. La proposta di riforma costituzionale potrebbe avere lo stesso effetto.
Non è detto che il premier sia sempre autorevole all’interno della sua maggioranza e tra i suoi alleati. Le norme costituzionali si scrivono (e si modificano) con l’idea che resistano all’usura del tempo e degli eventi, anche quelli che sembrano, oggi, lontani. L’interesse dei parlamentari a evitare lo scioglimento delle Camere sarebbe facilmente soddisfatto dall’individuazione di un nuovo Presidente del Consiglio tra i parlamentari eletti nelle liste anche solo collegate a quelle del Presidente dimissionario. Un tempo la chiamavano partitocrazia. Ora che dei partiti sono rimasti solo i simulacri, la chiamano norma antiribaltone.
da La Stampa, 1 novembre 2023