A partire dal 15 febbraio l’Europa applicherà il price cap sul gas. Si tratta di un indubbio successo della diplomazia italiana: fu Mario Draghi a imporre il tema all’attenzione dei partner europei ed è stata Giorgia Meloni a mantenere la linea in modo coerente. Ma siamo sicuri che non sia una vittoria di Pirro?
L’accordo di lunedì scorso prevede che il tetto scatti se il Ttf raggiunge i 180 euro/mwh e se supera di almeno 35 euro/mwh i prezzi spot del Gnl per almeno tre giorni consecutivi. Nel 2022 queste condizioni si sono verificate per una quarantina di giorni, prevalentemente ad agosto e settembre. I sostenitori della misura ritengono che la mera introduzione del cap avrà un effetto calmierante sui prezzi. Per ora la situazione è abbastanza sotto controllo, principalmente per ragioni legate ai fondamentali. La domanda è calata sensibilmente, sia per le temperature eccezionalmente alte (in Italia, a novembre i consumi domestici hanno segnato -21,3 per cento rispetto allo scorso anno), sia per il forte rallentamento dell’industria (-20,5 per cento). Anche l’impiego del gas per generare energia elettrica è in flessione (-30,1 per cento), sia per i minori consumi di corrente sia per la massimizzazione dei combustibili alternativi. Se nelle prossime settimane vi fossero temperature più rigide il quadro potrebbe cambiare, sebbene gli stoccaggi siano al di sopra della media stagionale. Lo ha ricordato anche il ministro Gilberto Pichetto Fratin in più di un intervento.
La maggior parte degli esperti teme però che il cap possa essere controproducente. In un paper dell’Oxford Institute for Energy Studies, l’economista Alex Barnes ha scritto che “renderà più difficoltoso il bilanciamento di domanda e offerta fino a quando non aumenta l’offerta di Gnl; potrebbe ridurre la concorrenza nei mercati del gas con maggiori probabilità che i prezzi rimangano più alti e per più tempo; e potrebbe danneggiare la sicurezza degli approvvigionamenti se si riducessero i flussi verso l’Europa aumentando la probabilità, e il bisogno, del razionamento amministrativo”. a principale incognita è la domanda cinese. Se dovesse risollevarsi, i mercati tornerebbero in tensione. Sul piano geopolitico, la Russia ha già detto che sospenderà del tutto l’invio del gas ai paesi che applicano il price cap. Naturalmente i rischi si alimentano a vicenda: Putin ha interesse a chiudere i rubinetti se lo squilibrio tra domanda e offerta dovesse tornare a mordere.
Anche la Bce è stata durissima in un parere sulla proposta della Commissione: “Il meccanismo, nel suo attuale disegno, in alcune circostanze potrebbe danneggiare la stabilità finanziaria dell’eurozona” in quanto potrebbe “aumentare la volatilità e le relative richieste di marginazione, mettere in crisi la capacità delle piattaforme di scambio di gestire il rischio finanziario, e incentivare la migrazione dalle borse agli scambi bilaterali”. La stessa Commissione considera tra le cause di sospensione del meccanismo gli eventuali effetti negativi del cap sulla sicurezza degli approvvigionamenti e l’aumento delle richieste di marginazione. Perfino i fautori del meccanismo riconoscono questi rischi: per esempio un gruppo di autorevoli economisti (tra cui l’italiano Michele Polo) si è detto favorevole al price cap, ma lo ha messo in relazione a un piano di riduzione dei consumi molto più aggressivo di quanto oggi previsto .
Per giunta, non è chiaro il senso politico dell’operazione. Inizialmente il price cap venne proposto principalmente per limitare la rendita che la Russia traeva dall’incremento dei prezzi. Ma oggi le forniture da Mosca si sono ridotte a un rivolo: il paradosso, dunque, è che l’eventuale applicazione della misura colpirebbe soprattutto i paesi amici a cui stiamo chiedendo di aiutarci, dall’Algeria alla Norvegia. In altre parole, è improbabile che il price cap possa produrre benefici misurabili, mentre solleva dei rischi concreti. In compenso, i negoziatori europei hanno perso mesi preziosi a discutere di un meccanismo cervellotico.
Una vicenda simile rischia di replicarsi attorno all’altro grande dibattito che sta emergendo in Europa, quello sul “disaccoppiamento” tra i prezzi del gas e quelli dell’energia elettrica. Anche qui siamo di fronte a slogan confusi e difficilmente praticabili, se non al costo di estenuanti negoziati. Sarebbe meglio concentrarsi su una soluzione strutturale alla crisi, che richiede massicci investimenti nell’aumento dell’offerta di energia, e nell’adozione di meccanismi emergenziali, come il “Sure del gas” proposto dai commissari Paolo Gentiloni e Thierry Breton. La loro idea è rimasta lettera morta, travolta dalle polemiche sul price cap. Speriamo di non dover assistere ancora una volta allo stesso balletto.
da Il Foglio, 21 dicembre 2022