Ben venga tutto quello che incoraggia a studiare e comunque a non dimenticare Raymond Aron, straordinario intellettuale francese di cultura liberale; filosofo scettico e sociologo ma di una specie tutta particolare; legato al suo tempo, tra gli anni Trenta e Sessanta, il cui metodo d’indagine può forse essere adattato anche all’oggi, in un mondo cambiato. Ecco perché va segnalato un libricino esiguo solo nelle dimensioni, scritto da Agostino Carrino e pubblicato nelle edizioni dell’Istituto Bruno Leoni.
Un saggio utile ad approfondire la figura di Aron, le radici del suo pensiero, la vocazione a comprendere il suo tempo con lo scrupolo del ricercatore, anziché a cambiarlo a colpi di ideologia. Aron è vissuto nel Novecento e tuttavia è un classico come lo furono i “maggior sui”: Machiavelli, prima di lui Aristotele e poi Montesquieu e Tocqueville, per citarne solo alcuni. È proprio a Tocqueville è stato accostato per la capacità di analizzare con l’acutezza dell’osservatore scientifico le caratteristiche della sua epoca all’interno del quadro internazionale.
Come scrive Carrino, citando i più attenti studiosi del pensatore, a cominciare da Nicolas Baverez, quello di Aron «è un individualismo, potremmo dire, classico, lontano da quello degenerato dei nostri giorni, preda dell’ideologia dei diritti dell’uomo, di un uomo ridotto a mero consumatore, un liberalismo al quale non sfugge la proiezione naturalmente sociale (ovvero politica) dell’individuo in uno con la sua natura ugualmente egoistica». Siamo nel campo del razionalismo, ossia del realismo: quanto di più lontano dalla propensione ad affrontare la vicenda umana con le armi delle ideologie, tendenti presto o tardi a curvare verso l’autoritarismo, quando non il totalitarismo.
Sono note le dispute intellettuali e politiche di Aron con Sartre, che rappresentò la sua antitesi. Ne derivò l’impronta di un’epoca (e si possono citare anche le discussioni con Merleau-Ponty e Althusser) nella quale Aron seppe difendere sempre e con successo la dimensione politica, pragmatica dell’agire pubblico. E la sua idea di “impegno” civico, ricorda ancora Carrino, in difesa dell’autorità legittima come cardine della società, è ben diversa dall’engagement degli intellettuali che si affacciarono sulla scena a partire dal ’68.