Via libera in Italia alle centrali elettriche a carbone e a olio combustibile, due fonti di energia molto inquinanti, ma la guerra è guerra, espressione da usare (purtroppo) in senso letterale e non metaforico. Le compagnie italiane del settore dotate di questo tipo di impianti, che sono Enel, Ep e A2A, potranno usare le loro 6 centrali a carbone e una a olio finché dura l’emergenza, fermo restando che si chiuderanno tutte entro il 2025, come programmato, e magari anche prima.
A malincuore possiamo dire che un po’ di anidride carbonica in più prodotta in Italia non cambierà lo scenario globale, soprattutto considerando quello che fanno la Germania, la Cina, l’India, la Russia, gli Stati Uniti e l’Australia, tutti Paesi che emettono nell’atmosfera CO2 in quantità colossali e crescenti. Visto che tutte le centrali italiane sono già operative, in certi casi rimesse in funzione ad hoc su invito del governo nei recenti mesi di crisi, sono tutte pronte per rispondere all’appello a produrre ancora un po’ di più; non c’è comunque da aspettarsi apporti aggiuntivi straordinari, perché il lotto comprende solo due o tre impianti di grosse dimensioni, mentre gli altri sono di taglia modesta (e guardando la cosa in positivo, questo riduce l’entità dell’inquinamento supplementare).
Per quanto riguarda Enel, ha centrali a carbone a Brindisi (2450 MegaWatt di potenza installata), Civitavecchia (1845 MW), Fusina, cioè Venezia (875 MW) e Portoscuso-Portovesme in Sardegna (480 MW) oltre a qualche modesto impianto a olio combustibile in Sicilia e sulle piccole isole. La compagnia Ep Produzione possiede la centrale a carbone di Fiume Santo in Sardegna (600MW) e A2A quella di Monfalcone (336 MW) oltre a un impianto di potenza considerevole a olio combustibile situato a San Filippo del Mela, cioè Messina (960 MW).
C’è da sottolineare un particolare importante: tutte queste centrali, pur essendo vecchie (la più recente dell’Enel è entrata in esercizio attorno al 2010, le altre usano tecnologie del secolo scorso) sono perfettamente a norma rispetto alle regole italiane sulle emissioni, che sono più severe di quelle europee. Bisogna tener presente che nell’ex Germania Est, e in alcuni Paesi dell’Europa orientale, sono tuttora in funzione impianti che brucano lignite ed emettono moltissimo zolfo, particolato (cioè polveri sottili cancerogene) e altre impurità che in Italia le metterebbero fuori legge; una sola di queste centrali fa più danni all’ambiente di tutte quelle italiane messe insieme. Fra le prescrizioni a cui si attengono i nostri impianti ci sono i depositi di combustibile coperti, con cupole di protezione e tubature contro la dispersione in atmosfera delle sostanze inquinanti, tubature che nel caso di Brindisi sono lunghe 14 chilometri. E tutte le centrali italiane a carbone e a olio combustibile hanno filtri ai camini.
Giovanni Battista Zorzoli, ambientalista per vocazione e presidente dell’Associazione italiana degli economisti dell’energia, dice di essere favorevole all’utilizzo delle centrali a carbone in questa emergenza, «sia pure a malincuore. Se tutto questo fosse successo tre anni fa avrei scritto articoli di fuoco». Gli chiediamo: visto che l’attuale crisi ci è arrivata addosso del tutto imprevista, e dato che non sappiamo come e quando affronteremo la prossima, fra 10 o 20 anni, non sarebbe il caso di tenerci da parte in Italia una riserva di centrali a carbone anche per il futuro lontano, a prescindere dalle difficoltà del momento? Dopotutto, quando si fanno piani di investimento a lungo termine si diversifica il portafoglio titoli il più possibile, non conviene fare qualcosa di analogo con l’energia?
Zorzoli concorda solo in parte: «È opportuno fare sempre assegnamento sul pluralismo tecnologico, ma le energie rinnovabili sono già abbastanza diversificate fra loro da garantirlo, senza bisogno di carbone». Concorda Carlo Stagnaro, direttore ricerche e studi dell’Istituto Bruno Leoni: «Una riserva strategica di potenza dovrà essere conservata, a fianco delle rinnovabili, ma in relazione all’evoluzione delle tecnologie. Non credo che si tratterà di carbone, semmai terremo da parte qualche centrale a metano, e in prospettiva neanche quelle, basteranno gli impianti di stoccaggio delle energie rinnovabili. Purché non si smantellino gli impianti a gas naturale prima di avere pronte le alternative, come sembra che qualcuno voglia fare».
Invece non c’è fiducia nelle tecnologie di sequestro del carbonio alla fonte (distinte dai filtri anti-inquinamento ai camini delle centrali): le si sperimenta da 40 anni, anche l’Enel ha fatto dei test in un impianto pilota a Brindisi, ma non sono state giudicate valide dal punto di vista tecnico né sostenibili da quello economico.
da La Stampa, 7 settembre 2022