18 Aprile 2017
Il Giornale
Carlo Lottieri
Direttore del dipartimento di Teoria politica
Argomenti / Teoria e scienze sociali
Cresce l’insofferenza della società veneta verso il potere centrale. Una comunità che da decenni aspira all’autogoverno, continua infatti a subire diktat centralisti che la mortificano sempre più. I più recenti episodi riguardano la decisione del governo Gentiloni d’impugnare la legge regionale «Prima i Veneti» (che prevede un accesso privilegiato ai servizi dell’asilo nido alle famiglie in Veneto da almeno 15 anni) e la bocciatura da parte della Consulta di due leggi: quella che istituiva un fondo per le vittime della criminalità (a tutela di chi è stato costretto a difendersi da sé a causa del fallimento della sicurezza di Stato) e pure quella che creava un fondo per il patrocinio legale e le spese mediche delle forze dell’ordine ferite mentre svolgevano il loro servizio. Si può discutere nel merito di queste norme della giunta Zaia e anche sulle ragioni addotte dalla Corte costituzionale (organismo politico per eccellenza) per giustificare le sue censure. Il fatto cruciale è un altro: mentre il Veneto vorrebbe darsi regole proprie, Roma continua a negare l’esistenza di una comunità veneta che rivendica il diritto a fare da sé.
Queste decisioni vengono dopo molte altre assai simili. È recente, e ancora brucia, la bocciatura di un referendum per giunta di natura meramente consultiva che intendeva interpellare la popolazione veneta in merito all’ipotesi di una prospettiva di piena indipendenza. Nonostante vi siano articoli della Costituzione che tutelano il diritto di espressione del pensiero, non si è voluto che le istituzioni regionali interrogassero i cittadini sul tema.
La questione politica è chiara e nessun utilizzo di argomenti giuridici per aggiungere nulla. Mentre in Veneto cresce la volontà di recuperare la propria storia e identità, ma soprattutto la libertà d’azione che discende da una piena indipendenza, a Roma si è scelta la strada del muro contro muro. Ci si oppone a tutto e sempre. I veneti devono limitarsi a pagare e perfino con le magre risorse rimaste loro dopo la «cresta» dello Stato italiano (il residuo fiscale la differenza tra quanto i veneti danno allo Stato e i servizi che ricevono ammonta a circa 20 miliardi ogni anno) non possono fare quello che vogliono. In questa situazione è evidente che nei mesi a venire la «questione veneta» si farà sempre più scottante. Da più parti emerge netta insofferenza (anche tra gli imprenditori e i professionisti) per uno Stato ormai sull’orlo del fallimento e che continua a penalizzare un’area che, tutto sommato, resiste meglio di altre nonostante la tassazione da rapina e la regolamentazione asfissiante.
Tutto ciò spiega perché molti vedano nel prossimo referendum sull’autonomia (pur senza effetti reali) un’opportunità politica da sfruttare, dato che se la nave italiana va a fondo conviene ragionare sull’ipotesi di mettere in acqua una scialuppa. Tanto più che, considerando i fondamentali della società del Veneto, la piccola barchetta potrebbe presto trasformarsi in uno splendido Bucintoro.
Da Il Giornale, 15 Aprile 2017