La Romagna e l'alibi del "global warming"

L'insistenza sul "global warming" è servita a deresponsabilizzare chi avrebbe dovuto gestire meglio il territorio

12 Giugno 2023

La Provincia

Carlo Lottieri

Direttore del dipartimento di Teoria politica

Argomenti / Teoria e scienze sociali

Nell’ultimo mese l’opinione pubblica è stata molto impressionata dal disastro che ha interessato la Romagna. Quando nella prima metà di maggio continue piogge persistenti hanno causato allagamenti e frane, ognuno s’è sentito chiamato in causa. Le decine di migliaia di sfollati e i molti morti hanno generato un sincero moto di solidarietà. 

Ora che stiamo prendendo un po’ le distanze dagli avvenimenti meteorologici, dobbiamo comunque riconoscere come tale vicenda sia stata istruttiva da vari punti di vista. In effetti, è un segno dei nostri tempi che subito si sia messa in moto la macchina propagandistica del “global warming”, che di fronte a qualsiasi situazione nuova cerca di trovare una conferma sull’origine antropica del cambiamento climatico e prova a metterci sul banco degli imputati. 

Il millenarismo apocalittico dei catastrofisti “stile Greta” ha sfruttato la Romagna allagata per invitare tutti noi a batterci il petto. Questa attitudine culturale è quanto mai negativa, dato che alimenta – specie nei giovani e nei bambini – un’ansia crescente e un vero terrore nei riguardi del futuro. I media e gli intellettuali schierati con l’ecologismo alla moda alimentano l’idea che non si farebbe abbastanza per salvare il pianeta e che tutto ciò ci starebbe trascinando nell’abisso. A questo punto non ci si chiede più quale sia l’entità del potenziale danno derivante dai cambiamenti climatici, né quali potrebbero essere le concrete risposte da dare. 

È comunque interessante rilevare che quanti conoscono davvero la situazione delle province di Ravenna e Forlì abbiano subito detto che il problema vero è il dissesto idrogeologico. L’insistenza sul “global warming”, però, è servita a deresponsabilizzare chi avrebbe dovuto gestire meglio i fiumi e le montagne, che possono esondare e franare oggi esattamente come nel 1966 (l’anno dell’alluvione di Firenze e della frana di Agrigento). 

Per la classe politica è molto meglio far credere che tutti siamo colpevoli di qualcosa invece che ammettere che essi avrebbero dovuto lavorare meglio. È giunto il momento, allora, di abbandonare ogni forma di pensiero magico, affrontando il riscaldamento globale in modo “laico”, senza terrorizzare le nuove generazioni e senza far creder loro che il mondo stia finendo: e allora tutto andrebbe sacrificato sull’altare di mezzo grado in meno. 

Soprattutto bisogna vigilare sul fatto che non si usi questo tema per sgravarsi da colpe personali e per dilatare sempre più il potere dei pochi che ci governano. Questo punto è cruciale. Non c’è nulla di ingenuo e di banale nell’elaborazione di questa nuova mitologia, dato che attorno alle politiche internazionali, europee e nazionali in tema di lotta ai cambiamenti climatici sono cresciuti interessi economici, ideologici e politici di vasta portata. 

È per fronteggiare il riscaldamento globale che s’è deciso di avviare la rottamazione delle autovetture, mandare al macello un gran numero di vacche (200 mila soltanto in Irlanda) e obbligare a ristrutturare le abitazioni. C’è chi sta sfruttando una certa diffusa irrazionalità per dilatare il proprio potere. È bene esserne consapevoli. 

da La Provincia, 11 giugno 2023

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