Röpke: concorrenza e mercato sono per le persone

In un libro di Flavio Felice il pensiero dello studioso tedesco particolarmente attento all'ideale sociale cristiano


2 Aprile 2024

Avvenire

Danilo Breschi

Argomenti / Teoria e scienze sociali

La questione di fondo è la seguente: il mercato è uno spazio illimitato, che non conosce inizio né fine, oppure ha dei presupposti e dei limiti? Se la risposta è sì, siamo di fronte a quegli intellettuali che, tra fine anni Venti e metà anni Sessanta del Novecento, si posero il problema di coniugare ordine e libertà, etica e politica, economia e morale cristiana. Sono noti come ordoliberali, dal nome della rivista “Ordo”, fondata nel 1948, espressione di quella Scuola di Friburgo che, tra economisti e giuristi, elaborò una risposta neoliberale alla tempesta ideologica che infuriava sull’Europa di quegli anni.

Populismo autarchico, totalitarismo aggressivo, protezionismo liberticida: sono questi i principali avversari contro cui si formarono le teorie di Wilhelm Röpke (1899-1966), un ordoliberale sui generis, al quale è dedicata la monografia appena pubblicata dall’Istituto Bruno Leoni: Wilhelm Röpke (pagine 176, euro 14). A firmarla è Flavio Felice, il maggiore conoscitore in Italia del pensiero e dell’opera di Röpke, di cui ha già curato e introdotto la traduzione di numerosi e importanti scritti.

Dopo giovanili simpatie socialiste, l’economista e sociologo tedesco approdò al liberalismo, ripensato alla luce del fallimento che tale dottrina aveva registrato tra scoppio della prima guerra mondiale e sue conseguenze. Imperialismo, nazionalismo, militarismo avevano stravolto le società europee, a cominciare dall’economia. Pianificazione e protezionismo avevano accompagnato una chiusura totalitaria degli Stati europei, l’uno contro l’altro armati. La concorrenza nell’import-export era ormai continuazione della guerra con altri mezzi; l’ordine internazionale frantumato in un’anarchia bellicosa.

Secondo Röpke, i fattori decisivi della vita economica non si spiegano con la matematica. Sono «forze morali e spirituali, reazioni psicologiche, opinioni poste al di là di tutte le curve e di tutte le equazioni, sono cose incalcolabili». Al fondo del suo ragionamento c’è un esplicito riferimento alla prospettiva antropologica cristiana. «La mia immagine dell’uomo – scrive nel 1958 – è modellata sul retaggio spirituale della tradizione antica e cristiana; nell’uomo io vedo l’immagine di Dio e ho nel sangue il convincimento che sia orribile peccato degradare l’uomo a semplice strumento (anche se col richiamo a nobili ideali) e che ogni anima sia qualcosa di incomparabile e di inalienabile, al cui confronto ogni altra cosa è assolutamente priva di valore».

Il suo pensiero si configura come punto di convergenza tra autori apparentemente distanti, da Einaudi a Hayek, da Sturzo a Mises. Quel che rende i due italiani più vicini a Röpke rispetto ai due austriaci è la concezione della razionalità umana. Persona vs individuo: questa la divergenza. Persona intesa come individuo che non può permettersi il lusso dell’egoismo sociale, se davvero vuole prosperare.

Il personalismo liberale di Röpke concepisce la concorrenza come mezzo e mai come fine. È perciò necessario inserirla dentro una cornice normativa che combini libertà e regole, assicurando una relazione dinamica e dialettica, feconda di ulteriori rapporti sociali di produzione, senza che venga meno la stabilità del sistema economico e sociale. È questo il significato di “ordine economico”: presupposti morali e sociali su cui l’economia viaggia. Bussole con cui orientarsi lungo sentieri inediti, purché compatibili con la conservazione della persona umana, anima e corpo.

Una società giusta si fonda su regole che uniscono libertà a responsabilità, diritti a doveri. Questa la persistente validità della sua lezione, alimento del liberalismo popolare di Einaudi e Sturzo, ispiratrice dell’azione politica di De Gasperi nell’avvio e consolidamento della nostra Repubblica.

da Avvenire, 2 aprile 2024

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