«Il Sud? Non può essere condannato all’assistenza. La campagna elettorale? Ripetitiva e noiosa, non ho colto segni rilevanti di un vero dibattito. Il punto è che la legge elettorale stessa è devastante, per i cittadini innanzitutto e quindi per la discussione politica». Così Nicola Rossi al Corriere del Mezzogiorno.
Nicola Rossi, pugliese, è oggi consigliere d’amministrazione dell’istituto Bruno Leoni, oltre che docente di Politica economica all’università Roma 2. Con lui abbiamo analizzato le proposte economiche dei programmi elettorali.
Partiamo dal governo Draghi: come giudica la decisione del M5S di staccare la spina all’esecutivo, sulla cui scia si sono inseriti i partiti di centrodestra?
«A pochi mesi dalla fine della legislatura non ha avuto senso far cadere il governo, ma le dinamiche politiche non sempre sono razionali, tanto più in una fase evidente di stanchezza del governo stesso. Detto questo non si deve avere paura del voto».
Qual è l’impressione generale della campagna elettorale in corso?
«La trovo ripetitiva e noiosa, non ho colto segni rilevanti di un vero dibattito. Il punto è che la legge elettorale è devastante, per i cittadini innanzitutto e quindi per il dibattito politico. Il concetto stesso di eletto è diventato irrilevante, perché chi siederà in Parlamento sarà di fatto nominato dal partito di appartenenza. Non a caso aumenta il numero di coloro che ritengono irrilevante il voto».
Le proposte economiche dei partiti: che idea ne ha tratto?
«C’è un elemento che unisce, e uno che divide le diverse proposte: più o meno tutti evitano elegantemente di parlare delle coperture economiche; diversa è invece l’impostazione generale. Mi riferisco alle proposte del centrosinistra e del centrodestra: la prima poggia su un’idea fondamentalmente assistenziale, con un fitto elenco di misure in cui è assente l’idea della crescita, su cui, al contrario, il centrodestra sembra porre un po’ più l’accento. Ma senza crescita non si possono rispettare gli impegni assunti con l’Europa».
Ma Giorgia Meloni, leader di FdI e Giovanni Tosi, presidente della Liguria, hanno ipotizzato la revisione del Pnrr.
«Sì, a proposito del capitolo energia, perché si rallenti la transizione energetica».
Le posizioni sul tema energia sono nette: la Lega e Azione ipotizzano il ritorno al nucleare, il Pd parla di un tetto nazionale del prezzo dell’energia elettrica, di un contratto sociale per famiglie disagiate, del raddoppio del credito di imposta per le imprese energivore.
«A proposito di nucleare, ritengo che si debbano seriamente studiare le ultime generazioni di centrali, perché se è fondamentale incentivare la crescita dell’energia rinnovabile, comunque non potremo fare a meno del nucleare pulito e sicuro. Quanto alle bollette elettriche ritengo che sia stato saggio da parte di Draghi azzerare voci come gli oneri impropri: sarebbe bene che non comparissero mai più».
Un altro tema divisivo è quello della flat tax: la Lega la propone al 15%, Fi al 23%, FdI incrementale, mentre il Pd insiste sul cuneo fiscale. Lei che ne pensa?
«Le differenziazioni nascono dalla gara elettorale, ma complessivamente si può dire che la destra ha posto il tema dell’insostenibilità del fisco così come oggi è. A sinistra non c’è una ipotesi organica di riforma fiscale. Nel terzo polo il tema c’è, anche grazie al lavoro svolto in aula da Luigi Marattin sulla delega fiscale».
Coldiretti ha previsto che in autunno ci saranno 2,6 milioni di persone a rischio alimentare. Nel Mezzogiorno 1,7 milioni di persone sopravvivono grazie al reddito di cittadinanza, che la destra vuole eliminare. Lei cosa suggerisce?
«L’Italia era tra i pochi Paesi privi di uno strumento di intervento sulle marginalità e le gravi deprivazioni, ma il reddito di cittadinanza in larga misura non ha funzionato o ha funzionato male perché la legge è stata scritta male. Non si è tenuto conto, per esempio, che il potere d’acquisto di Enna è diverso da quello di Bergamo. Bisogna fare un profondo intervento di revisione, a cominciare dalla stessa definizione di reddito di cittadinanza».
Il Mezzogiorno è praticamente assente nei programmi: cosa dire in merito?
«È giusto preoccuparsi delle zone più svantaggiate e delle persone più in difficoltà, ma per il Mezzogiorno l’unico futuro possibile non può essere quello dell’assistenza».
Qualche suggerimento?
«Sul Mezzogiorno si sta per riversare una montagna di euro del Pnrr, da usare bene, ma ce ne preoccupiamo poco, nonostante l’allarme per gli evidenti segnali negativi. Le amministrazioni spesso non sono in grado di partecipare ai bandi e forte è la preoccupazione che alla fine non resti nulla di significativo sui territori».
Il salario minimo è tra le proposte del Pd e del M5S: la convince?
«Il salario minimo tende a depotenziare la contrattazione nazionale e, se ben tarato, può avere un senso. Certo, le organizzazioni di categoria sarebbero costrette a focalizzarsi su altri obbiettivi e non solo su quelli contrattuali, ma non sarebbe un male. Se invece si ha in mente il salario minimo così come lo immagina il ministro Andrea Orlando allora ci stiamo prendendo in giro. Salario minimo e minimo contrattuale sono due cose concettualmente distinte».
In definitiva, c’è qualcosa di interessante nei programmi elettorali?
«Non c’è nulla di innovativo, si ripetono per lo più misure già viste, il che significa che molti problemi restano irrisolti. Il vero discrimine tra i partiti è allora la politica estera, i rapporti con la Ue e con il resto del mondo: mi auguro che non si receda di un millimetro rispetto alle posizioni assunte dal governo Draghi».
dal Corriere del Mezzogiorno, 24 agosto 2022