22 Febbraio 2016
Il Corriere del Ticino
Carlo Lottieri
Direttore del dipartimento di Teoria politica
Argomenti / Teoria e scienze sociali
Questo avvio della campagna elettorale americana contiene più di una sorpresa, ma mentre solo qualche settimana fa tutta l’attenzione era per il campo repubblicano (dove il quadro è da tempo assai confuso), l’elemento che ora sembra agitare maggiormente la discussione è l’emergere impetuoso della candidatura di Bernie Sanders, che sta creando seri problemi alla super-favorita Hillary Clinton. Nei caucus dell’Iowa la Clinton ha prevalso di pochissimo e nel New Hampshire si è assistito addirittura a una vittoria del senatore eletto nel Vermont. Tutto è solo agli inizi e questi primi voti non dicono molto su chi sarà il prossimo presidente, ma certo merita una qualche riflessione il fatto che all’interno della politica americana trovi spazio quale candidato realistico alla guida degli USA chi, come Sanders, da sempre si colloca alla sinistra dei democratici (al Senato fu a lungo un indipendente, fuori dal gruppo) e si autodefinisce socialista.
Solo pochi decenni fa, fu certamente arguto il politologo Giovanni Sartori quando definì i liberal americani come i socialisti di un Paese senza socialismo. Oggi però bisogna constatare che soprattutto tra i giovani cresce la disponibilità ad abbracciare apertamente le tesi più favorevoli alla ridistribuzione e al dirigismo. Quello che sembrava impossibile è ormai realtà: vi è un candidato alla presidenza USA con concrete possibilità di successo che propone un’ America socialista. In parte, tutto questo ha poco a che fare con le ideologie. Sanders piace anche perché è il Donald Trump della sinistra, ossia perché si presenta come un uomo fuori dagli apparati, nemico delle caste e dei linguaggi convenzionali, in grado di far saltare il solito potere gattopardesco che si rigenera a ogni giro di boa elettorale. Se la Clinton è l’establishment, Sanders è l’alternativa a tutto ciò. E così mentre in Spagna trova consensi Podemos e in Italia il Movimento Cinquestelle, non bisogna troppo stupirsi se tra i repubblicani prende voti uno come Trump e tra i democratici è la volta di Sanders. Queste considerazioni, però, non bastano.
Un elemento importante per capire gli scenari politici contemporanei in America come in tutto l’Occidente è il declino delle barriere ideologiche. Paradossalmente, lo stesso crollo del muro di Berlino e il conseguente venir meno dell’opposizione tra USA e URSS ha permesso, con il tempo, di sdoganare idee che prima erano spesso associate al Grande Nemico e quindi perfino antipatriottiche. L’assenza definitiva sulla scena globale di un impero socialista vecchio stampo, dato che pure la Cina ha abbracciato molti elementi del mondo capitalista, ha potuto conferire un nuovo glamour alla vecchia tradizione socialista. In fondo, solo pochi mesi fa si è assistito all’avvento di Jeremy Corbyn «il rosso» alla testa del Partito laburista britannico, una formazione che si era sempre tenuta lontana dal marxismo e che con Tony Blair aveva pure tentato di fare proprie alcune tesi liberali.
In Sanders, però, c’è qualcosa di caratteristico, perché egli ci permette di capire quanta acqua sia passata sotto i ponti non soltanto dal tempo di George Washington e Thomas Jefferson, ma anche da quella seconda metà dell’Ottocento che vide la nazione americana crescere a ritmi impetuosi, fino al punto di diventare la prima economia del mondo intero. In quell’America non era facile immaginare il radicarsi delle idee di Marx o Proudhon. Il sociologo tedesco Werner Sombart scrisse un interessante volume sul tema, nel 1906, sottolineando che nel contesto americano tutte le classi sociali (comprese le più umili) erano sostanzialmente favorevoli al sistema della libera impresa. In parte questo si doveva al generale miglioramento delle condizioni di vita e in parte a motivi di ordine culturale.
Oggi tutto è diverso: l’ America non è più la stessa. Gli otto anni della presidenza Obama, ma non molto meglio erano stati gli anni precedenti, sono stati segnati da difficoltà rilevanti. Sul piano delle idee, inoltre, una recente ricerca ha evidenziato che mai nel passato l’accademia statunitense sia stata tanto schierata con le posizioni più di sinistra. Per decenni una società avversa al socialismo è convissuta a lungo con un’università nutrita di quelle idee, ma alla fine questa dissonanza è venuto meno. Le idee hanno una loro forza e ora lo stiamo scoprendo. Senza contare che in molteplici situazioni le scelte politiche di Obama e dei suol predecessori erano socialiste di fatto, anche quando non si dichiaravano tali.
In tal senso, i successi elettorali di Sanders di queste settimane (quale che possa essere, alla fine, il nuovo presidente degli USA) sembrano dirci che l’eccezionalismo americano potrebbe essere finito. L’America della frontiera, dei self-made men, degli immigrati che si fanno strada con il lavoro, della concorrenza come condizione di libertà e pluralismo, quell’America sembra ormai remota. Gli Stati Uniti non sono più così diversi dal resto dell’Occidente e condividono sempre più le difficoltà e i dibattiti che caratterizzano la scena europea.
Da Il Corriere del Ticino, 20 febbraio 2016