In questi anni anche il liberismo, che è l'elaborazione teorica del consumismo, vive una cattiva e ingiusta fama
Nell’editoriale di ieri, il direttore Malaguti ha ricordato che in nome della libertà personale e delle garanzie dello stato di diritto vale la pena difendere le nostre invecchiate democrazie. Un memento mai superfluo a cui non c’è nulla da aggiungere, nella sua dimensione politica e giuridica. C’è però, in quell’articolo, un inciso che riguarda la dimensione economica del nostro modo di vivere su cui conviene tornare, sempre per rammentare cosa di esso merita di essere difeso.
Racconta Malaguti di un video natalizio trasmesso dalla tv moscovita in cui un razzo comandato da un Babbo Natale russo fa esplodere la slitta del tradizionale Babbo Natale. Tra i dettagli del video, che si può trovare nei principali siti di news, c’è il fatto che il vecchio tiene in mano una lattina di Coca-Cola.
Abbandonate le antiche origini religiose, quella di Babbo Natale è diventata forse la più fortunata e realizzata fiaba del consumismo americano grazie proprio a una campagna pubblicitaria della Coca-Cola negli anni Trenta. Uno degli elementi straordinari di questo mito capitalistico è il sincretismo che a partire dalla metà del secolo scorso esso ha contribuito a sviluppare tra la dimensione venale da cui è nato, la dimensione cristiana su cui si è innestato e una terza dimensione attraverso cui il Natale è diventato una festa di valori laici.
Babbo Natale, però, non solcava i cieli dell’Unione Sovietica, né la Coca-Cola si trovava nei negozi. Non era solo un prodotto commerciale, ma il simbolo del libero mercato da tenere fuori dalla porta, dai pensieri e dai desideri di famiglie costrette ad accettare un modello economico, politico e culturale radicalmente alternativo. Si consentì piuttosto l’ingresso della sua concorrente, la Pepsi, osi provò a sbiancarla e imbottigliarla in confezioni senza etichetta per non farla riconoscere. Ma la bottiglietta rossa, simbolo per eccellenza del capitalismo americano, doveva rimanere un oggetto proibito, così come Santa Claus un mito estraneo.
L’apertura del mercato russo alla Coca-Cola precedette di qualche anno quella al McDonald’s e andò di pari passo con la perestrojka, ossia col tentativo dell’Unione Sovietica di assomigliare un po’ di più alle democrazie occidentali. Il video del Babbo Natale russo che fa saltare in aria il Babbo Natale occidentale riapre in pochi secondi un conflitto da guerra fredda.
Volendo cogliere un messaggio per noi, sarebbe utile che ci ricordasse quanto anche il consumismo natalizio abbia molto a che fare con le nostre libertà e sia parte determinante di quel mondo di valori che dovremmo continuare a essere disposti a difendere. In punto di principio, la libertà di commercio non è molto diversa da quella di parola. La libertà di scambiare idee non lo è da quella di scambiare cose. L’abbondanza dei doni nella slitta non è molto lontana dal pluralismo di cui si nutrono le nostre democrazie. Alla loro base c’è un assunto semplice e centrale: la sicurezza di poter pensare, agire, condividere cose materiali e immateriali – pensieri e opinioni compresi – in maniera libera. Non è un caso che i ranking internazionali, con tutte le approssimazioni di cui difettano, mostrano una chiara correlazione tra libero mercato e democrazia.
C’è un elemento ulteriore che accomuna i due sistemi: nessuno dei due è perfetto, ma soprattutto nessuno dei due pretende di esserlo. Le ingiustizie sociali, le disuguaglianze economiche, le fallacie giuridiche ne sono anzi componenti che si vuole riconoscere, anche per provare a correggerle. Il capitalismo nella sua dimensione culturale non è mai andato molto di moda nemmeno nella parte di mondo che lo ha apprezzato come sistema economico.
In questi anni anche il liberismo, che ne è l’elaborazione teorica, vive una cattiva e ingiusta fama: il neoliberismo, qualsiasi cosa voglia significare, è diventato il capro espiatorio di ogni stortura delle nostre società. Sarebbe invece utile che, in mezzo alle minacce per le nostre democrazie, tornassimo ad essere gelosi difensori di quel benessere che ci è ancora garantito non solo dello stato di diritto, ma anche dal libero mercato.