Attraversiamo una grave crisi economica, che sta scavando solchi profondi nella società. Uno dei più rilevanti è quello fra lavoratori privati (autonomi e dipendenti) e gli impiegati pubblici. Al di là di quanto sia lo stipendio, il lavoro di questi ultimi resta e resterà garantito, insieme alla tredicesima, ai contributi, ai permessi tradizionali e ai permessi per Covid. I primi navigano nella nebbia e vivono alla giornata. Ai rischi che, da sempre, affrontano se ne sono aggiunti altri. La pandemia da una parte, le misure per contrastarla dall’altra, hanno scosso ogni loro certezza.
Proprio per questo, l’annuncio da parte di CGIL, CISL e UIL di uno sciopero generale della pubblica amministrazione è una provocazione inaccettabile: una autentica istigazione allo scontro sociale.
Può darsi pure che i dipendenti pubblici credano di avere le loro ragioni da rivendicare: ambienti di lavoro sicuri (benché almeno la metà di loro sono per decreto in lavoro agile); lotta al precariato (benché nel mercato del lavoro privato il lavoro sia, quasi per definizione, precario); maggiori assunzioni e risorse (benché ciò non voglia affatto dire maggiore efficienza). Può darsi che i sindacati del pubblico impiego ritengano che su assunzioni, sicurezza e contratti non ci siano risposte adeguate e che il Parlamento, con il nuovo bilancio, debba stanziare risorse per rinnovi di contratti e assunzioni.
Quel che è certo è che la richiesta di più soldi, più contratti, più garanzie è del tutto stonata in tempi in cui tutti coloro che stanno al di fuori del perimetro pubblico di lavoro non sanno se, per quanto tempo e a quali condizioni potranno mantenere il loro lavoro, e tutti coloro – giovani inoccupati e disoccupati – che provano a trovare un lavoro non sanno per quanto tempo ancora dovranno aspettare.
In un Paese come il nostro, dove i sindacati sono attori politici di prima grandezza, ci si aspetterebbe da loro un minimo di senso dell’opportunità.
Per il momento, lo sciopero è stato indetto dalle sigle della Triplice. C’è quindi da sperare che, proprio nel rispetto della propria dignità e di quella altrui, e conoscendo bene le difficoltà dei lavoratori del privato che sono poi, nel vissuto di ciascuno, conoscenti, amici e parenti che spesso condividono preoccupazioni e frustrazioni, i lavoratori stessi della PA decideranno di non parteciparvi. Siamo certi che i lavoratori del pubblico impiego hanno più senso della realtà di chi pretende di parlare per loro.
25 novembre 2020