12 Marzo 2015
La Provincia
Carlo Lottieri
Direttore del dipartimento di Teoria politica
Argomenti / Teoria e scienze sociali
Una delle sfide principali che il governo guidato da Matteo Renzi si appresta ad affrontare è quella della riforma della scuola. E difficile, infatti, pensare che la società italiana possa uscire dalla crisi senza cambiare il mondo dell’istruzione e, quindi, senza un sistema formativo all’altezza. Purtroppo tutta l’attenzione sembra essere però per chi lavora all’interno di questo ambito e non già come dovrebbe essere per i destinatari del servizio: studenti e famiglie.
Per tale ragione è cruciale che nel disegno generale come nella definizione delle misure di dettaglio si ripensi la scuola introducendo più pluralismo e più attenzione al merito. Nell’Italia eternamente divisa tra guelfi e ghibellini, ogni dibattito sull’istruzione finisce per riportare alla luce vecchie diatribe e quindi anche la sola ipotesi di immaginare maggiore possibilità di libertà di scelta tra pubblico e privato viene intesa da una parte dello schieramento politico come una sorta di “regalo”al mondo cattolico. Non è così, dato che andare incontro alle richieste della popolazione e rispettarne i valori risponde a una logica liberale, che tutti dovrebbero apprezzare. C’è allora bisogno di più varietà e concorrenza, anche al fine di valorizzare chi lavora meglio. L’appiattimento (anche retributivo) della scuola italiana ha tenuto lontani molti giovani di qualità a cui sarebbe piaciuto insegnare. Ma per uscire da questa situazione bisogna pure accettare l’idea che non tutte le materie sono sullo stesso livello e non tutti i docenti sono uguali.
Le strade che si possono percorrere per riformare la scuola sono molte: partendo da una maggiore autonomia nel delineare programmi e percorsi formativi, fino alla p ossibilità (come nell’America di Barack Obama) di creare scuole pubbliche e gratuite, ma largamente indipendenti e finanziate sulla base del numero degli studenti iscritti. E poi bisogna favorire la crescita di quanti già sono presenti, con i loro mezzi e il loro entusiasmo, in quelle scuole libere religiose o laiche che siano fin da ora attive.
In questo senso, è comprensibile che il governo si prenda a cuore i precari, ma solo se questo non porta a perdere una volta di più il treno di cambiamenti strutturali ormai non rinviabili. A questo riguardo è stato sicuramente un errore, da parte di Renzi, l’avere promesso la stabilizzazione di tutti i 150 mila precari, dal momento che è inammissibile che l’Italia abbia un numero di insegnanti tanto alto (basti guardare i dati di un Paese come la Germania, ad esempio). Questo è uno spreco che ha conseguenze dirette sulla bassa qualità di tanta parte del sistema educativo e che, di conseguenza, compromette il futuro dei nostri giovani.
Questo è un po’ il punto. Mentre troppi politici e sindacalisti sembrano interessati soltanto ai lavoratori della scuola, bisogna che si focalizzi l’attenzione sul merito e sul pluralismo, sull’esigenza di vere riforma e più concorrenza, così da ricordare a tutti che il mondo dell’istruzione ha la sua ragione negli studenti e nella loro formazione. Se non si parte da questa verità elementare è difficile che si possa fare qualche passo in avanti.
Da La Provincia, 12 marzo 2015