30 Gennaio 2023
Il Giornale
Carlo Lottieri
Direttore del dipartimento di Teoria politica
Argomenti / Politiche pubbliche
La proposta avanzata dal ministro Giuseppe Valditara di collegare gli stipendi dei docenti al costo della vita delle varie aree d’Italia ha suscitato, com’era prevedibile, una generale levata di scudi. Eppure si tratta non soltanto di una proposta di grande buonsenso, ma anche di un’iniziativa che – se fosse tradotta in fatti – inizierebbe ad affrontare alcuni problemi fondamentali della società italiana.
Quanti contestano il ministro lo fanno in nome del principio di eguaglianza (vero totem della cultura sindacalistica), ma davvero non si capisce cosa vi sia di equo nel permettere una qualità della vita dignitosa a chi insegna in provincia e nel negarla, invece, a quanti sono insegnanti, ad esempio, a Milano. Guadagnare il 30% in più dove l’affitto e qualunque altra cosa sono più cari del 30% non significa guadagnare maggiormente, ma guadagnare lo stesso.
C’è forse qualcuno che si indigna se – all’interno dell’Europa – i docenti francesi sono remunerati meglio di quelli greci e quelli svedesi meglio di quelli spagnoli? Ma questo non vale solo nel confronto tra Stati distinti. In effetti, mentre da noi molti giudicano assurdo differenziare gli stipendi, nella civile e federale Germania questo è assolutamente normale, dato che insegnare in Baviera non è lo stesso che insegnare in Pomerania.
Per giunta, non si tratta solo e in primo luogo di assicurare stipendi decenti ad alcuni, ma anche di intervenire per avere maestri e professori di qualità ovunque. Quello che pochi vedono è come questa proposta sarebbe particolarmente opportuna al fine di favorire lo sviluppo delle aree più disagiate d’Italia, a partire dal Mezzogiorno.
Uno dei problemi maggiori del Sud, infatti, è il carattere eccessivamente attrattivo degli impieghi pubblici: nella scuola e negli altri ambiti della funzione pubblica. In tale quadro, però, è difficile immaginare che i giovani del Meridione siano incentivati a scegliere la via dell’impresa e del mercato, invece che quella del posto statale.
In un Sud più dinamico e con più spazio per la concorrenza, alla fine anche il settore pubblico (istruzione inclusa) funzionerebbe meglio: per molte famiglie, di conseguenza, non sarebbe più necessario orientarsi verso scuole private onerose, per evitare la bassa qualità degli istituti di Stato.
Questa dura opposizione all’ipotesi di stipendi più alti per i residenti in aree dove vivere è più difficile (e dove quindi è più complicato reperire docenti), alla fine, sembra soprattutto derivare da un dogmatismo ideologico che ignora la realtà dei fatti, rifiutandosi di vedere a quali conseguenze conduca un certo ottuso egualitarismo.
da Il Giornale, 28 gennaio 2023