Ecco la strada maestra per i quattro gatti della cultura liberale, liberista e libertaria: smetterla di lamentarsi, e invece studiare, pubblicare libri, fondare case editrici di grande qualità come Liberilibri o Rubbettino, rimettersi a pensare attorno a centri intellettuali come l’«Istituto Bruno
Leoni». Non gridare sempre alle apocalittiche emarginazioni che fanno soffrire la minoranza a cui piace tanto sentirsi minoranza di pochi ottimati, denunciare perennemente, reiteratamente, stucchevolmente, la torva egemonia della «cultura di sinistra», sempre recriminando, piagnucolando, evitando le armi della battaglia e del sano conflitto. Per esempio, per cominciare, curare e presentare al pubblico italiano un libro prezioso, un classico della cultura liberale come L’uomo contro lo Stato di Herbert Spencer, il nemico di ogni «superstizione politica», con un’introduzione di Alberto Mingardi. Oppure raccogliere il meglio del pensiero liberale e liberista, per farne un’antologia come quella curata da Nicola Porro nel suo La diseguaglianza fa bene. Manuale di sopravvivenza per un liberista pubblicato da La nave di Teseo. Ecco le perle sconosciute di Ludwig von Mises e di Ayn Rand, le profezie di Friedrich von Hayek, le prediche inutili di Luigi Einaudi, i testi della battaglia liberista di Sergio Ricossa e di Antonio Martino: diffonderle, farle conoscere, smetterla con la lamentazione autoconsolatoria.
È vero, l’insegnamento di Einaudi sulla libertà della scuola e sull’ingiustizia di un Fisco oppressivo e asfissiante è pressoché ignorato. La nostra editoria pigra e conformista ci ha messo decenni prima di accorgersi della Società aperta e i suoi nemici di Popper o delle Origini del totalitarismo (ma per fortuna c’erano case editrici coraggiose come Comunità o Armando). Lo statalismo dirigista è diventato il nuovo credo delle politiche economiche (altro che «neo-liberismo», quando lo Stato è padrone di oltre metà dell’economia) e il centrodestra italiano ha sostituito la «rivoluzione liberale» con l’ammirazione ipnotica per l’autoritarismo di Putin. Qualche anno fa tutti si dicevano liberali, oggi liberale è ridiventato una parolaccia. Ma bisogna insistere, come questi libri di Mingardi e Porro, e non indulgere alla solita litania autoindulgente di una cultura che forse merita la condizione minoritaria in cui è stata ricacciata, per demeriti propri e non per l’arroganza altrui. Libri e non le solite proteste.
Da Corriere della sera, 26 settembre 2016